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Secondo molti l’esito della sentenza era scontato. Lei che ne pensa?
Da quello che leggo sui giornali la Consulta ha optato per il no ma c’erano dei giudici, all’interno della Corte, che avrebbero accettato l’idea del referendum. Non mi va di offendere la cultura giuridica di questi magistrati dicendo che non c’era niente da fare. Io sono sempre stato convinto che promuovere un referendum di questo tipo uccide l’istituto referendario.
A cosa si riferisce?
Perché il referendum è una chiamata del popolo per dirimere questioni fondamentali. E se anche i meccanismi che riguardano il mercato del lavoro diventano oggetto di consultazione popolare siamo ad un’idea perversa dell’idea di relazioni sindacali in questo Paese.
Solo la politica dovrebbe occuparsi di lavoro?
Ho fatto il dirigente sindacale in anni in cui si discuteva molto delle forme di democrazia più avanzate che consentissero la partecipazione ai lavoratori, ma non venne in mente a nessuno di utilizzare il referendum come strumento fondamentale per raggiungere questo tipo di obiettivo. Credo che questa concezione non rappresenti un allargamento del potere democratico ma un’idea della democrazia che mi è proprio estranea.
Oppure è figlia di un’epoca diversa. Forse negli a cui si riferisce i corpi intermedi avevano un potere contrattuale maggiore?
No, secondo me la decisione della Camusso nasce da un’interpretazione particolare dell’ultimo referendum che ha conosciuto il Paese e a cui la Cgil ha partecipato attivamente. Ma se il sindacato decide di agitare lotta politica con i referendum produce una distorsione nel meccanismo democratico di partecipazione dei lavoratori. Lo considero un rischio. E sono felice che la Consulta lo abbia evitato.
Come è possibile che la Cgil non si sia resa conto che il quesito sull’articolo 18 sarebbe andato incontro a probabile bocciatura?
C’è stato un errore e credo che Susanna Camusso, poco prima della decisione della Consulta, se ne sia resa conto. Naturalmente a quel non si poteva tornare indietro.
Un semplice errore di distrazione?
Sì, un errore grossolano. Se questo quesito avesse rappresentato un pezzo della cultura politica della Cgil, prima di chiedere il referendum il sindacato si sarebbe confrontato con quasi tutti i giuristi del lavoro che hanno aiutato l’organizzazione a non commettere errori di questo tipo per cinquant’anni.
Noi avevamo rapporti con i giuristi più importanti del dopoguerra, parlo di coloro che praticavano la giurisprudenza del lavoro tutti i giorni, persone pronte a confrontarsi con le opinioni e le proposte più disparate. Ed erano in grado di spiegare in quali condizioni sarebbe stato possibile attivare un referendum su grandi materie che riguardano assunzioni e licenziamenti.
Un confronto che adesso non esiste più?
Il sindacato ha convissuto nel dopoguerra con grandi figure: Di Vittorio, Santi, Lama, Trentin, Carniti. Uomini capaci di confrontarsi allo stesso livello coi giuristi. Adesso non è più così.
Che conseguenze avrà sulla Cgil la bocciatura del quesito?
Credo che in futuro Susanna Camusso sarà più prudente nell’immaginare queste scorciatoie per l’azione sindacale. Perché il prestigio della segretaria esce un po’ ammaccato da questa storia.
È una vittoria postuma di Renzi?
Non lo so, di certo c’è stato un errore di calcolo da parte del sindacato.
Però la Cgil ha vinto ad esempio sul tema dei voucher, la Corte costituzionale ha promosso il quesito...
Quello sui voucher lo considero proprio un errore sindacale. Perché se offri a istituzioni e aziende uno strumento per rispondere parzialmente alla disoccupazione devi saperlo usare.
Si spieghi meglio...
La Cgil poteva sollevare un problema voucher che non riguardava l’esistenza stessa dello strumento ma il modo in cui il sindacato partecipava al controllo sull’uso di questo strumento. Nel contesto di un negoziato sul mercato del lavoro, il sindacato si sarebbe dovuto confrontare con governo e Confindustria. Invece si è voluto usare il referendum come strumento di lotta politica.
Sta accusando la Cgil di populismo?
Nella Cgil, storicamente, c’è sempre stata una pulsione un po’ populista, ma in passato ci sono state sempre anche grandi figure in grado di annullarla.