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Stefano Ceccanti, esponente del Partito democratico
Professor Ceccanti, il Congresso del Pd sta per entrare nel vivo ma si parla ancora di un possibile rinvio delle primarie per non sovrapporsi con le Regionali: che ne pensa?
Siccome i candidati sono già in campo mi chiedo perché per evitare la sovrapposizione non si pensi ad anticipare le primarie anziché rinviarle. Però il punto è di metodo: abbiamo quattro candidati e un’elezione già indetta, si scelga una soluzione che veda d’accordo tutti. Se tra loro non ci fosse unanimità si resti dove siamo perché non si possono cambiare le regole a gioco iniziato se non all’unanimità.
In questi giorni si è parlato molto di voto online, con due visioni differenti tra Bonaccini e Schlein sull'opportunità dei cari e vecchi gazebo o sulla possibilità di esprimere la preferenza anche sul web: non le sembra una discussione un po' surreale, visti i tempi?
Anche qui è decisivo il metodo. Siamo abituati a un sistema di apertura agli elettori che passa per una prossimità fisica. Se i candidati sono unanimi nell’affiancare una modalità on line a quella fisica va benissimo. Se questa unanimità non c’è, non si può procedere a maggioranza.
Se guardiamo alle tematiche di fondo, come la guerra in Ucraina, i diritti civili e sociali, le politiche occupazionali, non sembra esserci grande differenza tra i due principali candidati alla leadership: cosa è allora che li differenzia davvero?
Non sarei convinto. Posto che attenderei le mozioni congressuali per ragionare puntualmente delle differenze, mi sembra che esse stiano nelle cose, a cominciare dal fatto che i due candidati vengono da un equilibrio delle elezioni regionali emiliane in cui Bonaccini fu individuato come candidato più moderato, in grado di attrarre una buona quota di voto solo Presidente al centro e persino di voto disgiunto nel campo avverso, e Schlein come vice, alla testa di una civica di sinistra, in grado di mobilitare un elettorato di sinistra altrimenti tentato dall’astensione o da opzioni minoritarie fuori coalizione. Se poi ci si attende che si comportino come i leader di due partiti opposti, l’aspettativa è ovviamente mal riposta. Mi sembra che comunque Bonaccini abbia rilanciato in modo aggiornato sia il tema della vocazione maggioritaria, della capacità di parlare a tutti, e quello di un moderno laburismo, come dal documento promosso da Bentivogli ed altri. Questo riferimento copre sia l’idea di un’attenzione a tutti i lavori (mentre alcuni accenti vetero- classisti sulla globalizzazione del dibattito della fase costituente sembravano addirittura regredire rispetto a “Ceti medi ed Emilia rossa” di Togliatti più che al Manifesto di Veltroni del 2008) sia all’idea di un partito composito, non escludente in tutto l’arco degli elettori e dei dirigenti che va dal centro alla sinistra. Fuori dalle battute, mi sembra che sul piano economico- sociale le differenze siano quelle interne a tutti i partiti della sinistra di governo e ben spiegate da Dilmore e Salvati: le aree di sinistra interna credono nella redistribuzione come premessa per la crescita; le aree di moderno laburismo credono nel binomio inscindibile crescita- uguaglianza.
Oltre che da diversi esponenti dem, Lei compreso, Bonaccini è sostenuto da centinaia di sindaci, che si fidano del suo operato sul territorio come presidente dell'Emilia- Romagna: quella di Bonaccini è davvero una candidatura dal basso o finirà per essere assorbita dall'eterno gioco delle correnti?
È ovvio che per costruire delle candidature nazionali in grado di raccogliere centinaia di migliaia di voti si formino dei gruppi organizzati, che per un verso si basano sulle reti di amministratori locali e per altro verso su reti di persone che si sentono più vicine. Non esiste un funzionamento di grandi partiti a vocazione maggioritaria che prescinda da questa doppia logica. Il punto è che una volta eletto il segretario abbia la capacità politica di non farsi imprigionare solo da coloro che la hanno sostenuto.
In questi mesi il Pd è in calo e rischia di essere fagocitato dal M5S a sinistra e dal terzo polo al centro: può essere il Congresso un punto di svolta e di rilancio o può essere determinare la fine del Pd, come dice Cacciari?
É dalla nascita che si teorizza che il Pd sarebbe un oggetto innaturale, come se invece a causa della Guerra Fredda non fosse stata un’anomalia per un verso l’egemonia comunista sulla sinistra e per latro verso, di riflesso, l’unità politico- elettorale dei cattolici. Fermo restando che il diritto all’esistenza bisogna saperlo confermare costantemente sul campo, mi sembra che coloro che hanno promosso scissioni immaginando che la storia del Pd fosse finita non hanno realizzato grandi successi. I profeti di sventura ne hanno provate tante, ma il Pd è ancora lì e le loro soluzioni non si sono affermate.
Cosa serve, in definitiva, al Pd per riprendersi da anni di lotte interne e tornare a parlare alla gente?
Più che darle una risposta individuale e necessariamente sloganistica a questo punto, inviterei lei e tutti a seguire l’incontro nazionale che avremo a Orvieto questo fine settimana con l’Associazione Libertà Eguale, che si rivolge comunque a tutto il centrosinistra.
Va bene che rivolga a tutto il centrosinistra e che non sia una corrente del Pd, ma quelli che fanno parte del Pd come si orienteranno?
Salva verifica puntuale del dibattito sulle idee e di cosa pensano effettivamente le singole persone, chi sta nel Pd ha una naturale convergenza verso Bonaccini. Ma ci interessa arricchire il dibattito sulle idee più che registrare adesioni.