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Istituzionalmente, è ineccepibile: sono elezioni regionali, non coinvolgono gli equilibri politici nazionali. Dal punto di vista politico, invece, le cose cambiano: innumerevoli i casi di risultati amministrativi che hanno provocato sconquassi nel Palazzo. Che dunque il doppio voto di Emilia che Calabria - più il primo del secondo - faccia fibrillare partiti, governo e opposizioni non sorprende. Tuttavia lo stesso colpisce la spessa colata di cemento che a stretto giro è arrivata da Zingaretti, Di Maio e per ultimo da Conte, volta a rinforzare le traballanti fondamenta della maggioranza giallorossa. Un “coretto” a tre con ritornello unico: qualunque sia il risultato elettorale, il governo va avanti.
Ai cronisti più smaliziati tanta assertività sparsa a piene mani dai due partiti maggiori e da palazzo Chigi - della serie ( e con un pizzico di ironia) “comunque vada, sarà un successo” - fa nascere il sospetto che i sondaggi non siano poi così lusinghieri e che, in sostanza, si mettano le mani avanti per non cadere indietro. Ma, appunto, sono malignità.
Bisogna prendere per buono l’intendimento dei tre leader e dunque cercare di stabilire su quali binari procederà il convoglio governativo per arrivare fino in fondo alla legislatura. Con il conclave nel reatino, e tra poco con il congresso con cambio di nome al partito, Zingaretti sembra inseguire l’obiettivo di farsi riconfermare alla segreteria indipendentemente, appunto, dalle conseguenze di possibili rovesci nelle urne. In fondo perdere l’Emilia nell’immaginario collettivo equivarrebbe alla cacciata da Bologna nel 1999 ad opera di Giorgio Guazzaloca: una ferita mai più suturata. Per Luigi Di Maio blindare il governo significa mantenere comunque un ruolo politico prioritario anche nel caso dovesse fare un passo indietro da capo politico del MoVimento. Per Conte, infine, la partita si gioca sui contenuti. Aver evocato il taglio dell’Irpef, cometa assieme alla lotta all’evasione fiscale, vanamente inseguita da tutti gli esecutivi dagli anni ’ 90 in poi, mira a scompaginare la riva su cui è seduto il centrodestra in attesa di veder passare i brandelli della maggioranza. Al dunque, un continuo un gioco di annunci. Vince chi farà l’ultimo.