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Il 2019 per la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo è stato un anno importante. Nel maggio è cessata la Presidenza di Guido Raimondi, che per nove anni aveva retto la Corte con grande maestria facendole avere sempre più un ruolo importante nel sistema europeo delle Corti. La Corte, da quest’anno, avrà una funzione ancora più importante e particolare.
È infatti l’ultimo aggancio del Regno Unito all’Europa. Come si sa, il Regno Unito è uscito dall’Unione Europea, ma non ha disdettato ( e come avrebbe potuto farlo...) la Convenzione europea dei diritti umani.
Oggi, quindi, abbiamo una situazione particolare: da un lato il Regno Unito è fuori dall’Unione Europea ma, dall’altro, la Corte di Strasburgo estende la sua giurisdizione anche sul Regno Unito e le sue sentenze possono “giudicare” anche le sentenze della Corte Suprema britannica.
Nessuno ne parla ma, prima o poi, capiterà un caso che farà discutere. Il Regno Unito è fuori, ma non del tutto. Questo è un bene per chi crede che l’Europa abbia bisogno anche delle tradizioni e della cultura anglosassone, soprattutto in campo legale dove i principi di Common Law nella loro praticità possono aiutare i sistemi di Civil Law a diventare più efficienti e più attenti al principio dello “stare decisis” per avere una giurisprudenza uniforme.
Alla Presidenza italiana di Raimondi è subentrato Linos- Alexandre Sicilianos, giudice greco. L’Europa del Sud è molto sensibile al tema dei diritti umani, mentre l’Europa del nord è più attenta al business.
Oltre al cambio alla guida della Corte, il 2019, in tema di giurisprudenza, ha anche significato due importanti novità. È stato depositato il primo Avis Consultatif ( Demande n° P16- 2018- 001) in data 10 aprile 2019. Come si sa, questo nuovo strumento processuale è stato previsto dal protocollo 16, ed è costruito come il più noto rinvio pregiudiziale di fronte alla Corte dell’Unione Europea ( art. 267 TFUE).
In questo caso è stata la Corte di Cassazione francese che ha chiesto lumi in tema di riconoscimento nel diritto interno di un legame di filiazione fra un bambino nato da una gestazione surrogata praticata all’estero in California e la mère d’intention. La Corte ha così deciso: «Nella situazione in cui, come nell’ipotesi formulata nelle domande della Corte di cassazione, un bambino è nato all’estero per gestazione per altro ed è derivato dai gameti del padre d’intenzione e di una terza donatrice, e in cui il legame di parentela tra il minore e il père d’intention è stato riconosciuto in diritto interno.
Il diritto al rispetto della vita privata del minore, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, prevede che il diritto interno offra la possibilità di riconoscimento di un legame di parentela tra tale figlio e la mère d’intention indicata nel certificato di nascita legalmente stabilito all’estero come madre legale; e quest’articolo non richiede che tale riconoscimento avvenga attraverso la trascrizione sui registri dello stato civile del certificato di nascita legalmente residente all’estero. Essa può essere effettuata per altre vie, quali: l’adozione del minore da parte della mère d’intention, a condizione che le modalità previste dal diritto interno garantiscono l’effettività e la sua rapida attuazione, conformemente all’interesse superiore del bambino». Una seconda pronuncia è anch’essa una novità. Si tratta di un ricorso per infrazione, anche esso formulato come quello previsto dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea ( art. 260). La Convenzione lo prevede all’articolo 46, primo paragrafo.
Lo ha subito l’Azerbaijan, condannata con sentenza del 29 maggio 2019, su richiesta del Comitato dei Ministri ( requete n. 15172/ 13). La Grande Chambre ha concluso che l’Azerbaijan è venuta meno alle sue obbligazioni di conformarsi alla Sentenza resa dalla Corte nel 2014 nella causa Mammadou. Il caso è eclatante perché si tratta della prima procedura in assoluto di infrazione deliberata dalla Corte, e la Corte per questo ha preso anche lo spunto per definire i propri poteri. Oltre a queste nuove e importanti pronunce, la Corte ha svolto la sua normale attività: ha pronunciato 884 sentenze e ha però respinto 33 480 ricorsi che sono stati dichiarati irricevibili. Fra gli altri, nel 2019 spiccano per il numero di ricorsi quelli contro la Federazione Russa, la Turchia e l’Ucraina. I numeri sono impietosi: al 31 dicembre 2019, la maggior parte dei casi pendenti concerneva la Federazione Russa ( 25,2%), seguita dalla Turchia ( 15,5%), l’Ucraina ( 14,8%), la Romania ( 13,2%), e purtroppo l’Italia ( 5,1%).
Nel 2019, si è anche intensificato il dialogo fra le Corti. Incontri sono stati organizzati. Si è sempre più intensificata la rete di scambio con le Corti superiori di 39 Paesi e, infine, è stato organizzato un incontro fra la Corte africana, quella sudamericana e l’europea in tema di diritti dell’uomo. Molti casi importanti degni di nota. Fra tutti, il caso Viola c/ Italia, in caso di ergastolo ostativo ed inoltre: nel 2019 la Grande Camera ha pronunciato quattordici sentenze. Essa ha definito gli obblighi che incombono agli Stati nei confronti della convenzione in materia di incidenti stradali ( Nicolae Virgiliu Tanase c. Roumanie), di controllo dei malati mentali ospedalizzati a rischio di suicidio ( Fernandes de Oliveira c. Portugal) e di trattamento terapeutico dei detenuti in istituto psichiatrico ( Rooman c. Belgique).
Essa si è pronunciata sul caso specifico delle indagini penali a dimensione transnazionale che comportano un obbligo di cooperazione tra Stati ( Güzelyurtlu et autres c. Chypre et Turquie). Per quanto riguarda i richiedenti asilo, la Grande Chambre ha sviluppato la giurisprudenza in due casi: il loro mantenimento in una zona di transito situata alla frontiera terrestre tra due Stati membri del Consiglio d’Europa seguita dalla loro espulsione verso uno Stato diverso dal loro paese d’origine ( Ilias et Ahmed c. Hongrie), o il loro trattenimento in una zona di transito aeroportuale ( Z. A. et autres c. Russie).