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Il Senato ha approvato con una maggioranza schiacciante e trasversale la legge sul biotestamento. Non sarà più necessario, di fronte a sofferenze indicibili, farsi trasportare in Svizzera per poter porre fine alla propria dolorosa esistenza. Sono principi di civiltà ed esigenze profonde di rispetto dell’uomo ad essere alla base di quella legge: così si spiega l’elevatissimo consenso alla approvazione non solo in sede parlamentare, ma anche nella pubblica opinione. Del resto, basta seguire anche solo poche battute del processo a Marco Cappato, che si svolge innanzi alla Corte di Assise di Milano, per non avere alcun dubbio sulla giustezza di quella legge. Le immagini della intervista a Dj Fabo, rilasciata a Giulio Golia delle Iene e proiettate in aula, suonano come un pesantissimo atto di accusa per non essere stata approvata prima quella legge.
Nessun dubbio, perciò, sul fatto che l’approvazione della legge sul biotestamento sia espressione di una maggiore civiltà raggiunta dalla società italiana.
La chiarezza di questa premessa, tuttavia, consente di svolgere alcune riflessioni. La legge sul biotestamento sposta, indubbiamente, un confine: quello di quanto della esistenza di ciascuno di noi appartenga anche agli altri e di quanto appartenga solo a noi stessi. Il tema è estremamente delicato ed è come se, in questo momento, le elites culturali volessero evitarlo per le implicazioni spinose che esso ha.
L’evoluzione tecnologica, in tutti gli ambiti, sta ponendo e sempre di più porrà questioni che non possono non essere affrontate in una visione che tenga conto dell’intera collettività. La possibilità di intervenire sul dna, di effettuare “riparazioni” impensabili attraverso l’uso delle staminali, la possibilità di integrare la macchina nell’uomo ( già vi sono esempi di cheap sottocutanei) aprono la prospettiva inquietante di dare la immortalità agli uomini o di creare super uomini. Tutto questo può essere relegato in una sfera meramente individuale? La nascita e la morte, l’attribuzione di super poteri o anche la possibilità di correggere deformazioni o di guarire malattie ritenute sinora inguaribili può essere demandato alla legge del mercato?
Se, difatti, tutti i temi sopra indicati sono attribuiti alla sfera di disponibilità dell’individuo e, perciò, alle sue scelte, l’ineludibile sottointeso e che tutto questo appartiene al mercato. Del resto, lo stesso Dj Fabo si è rivolto al mercato per risolvere le sue sofferenze. Ecco, allora, che alla legge sul biotestamento bisogna certamente plaudire. Ma con una riserva. Non può essere quella legge la breccia per una ulteriore apertura al mercato, che accentui ulteriormente la trasformazione dell’uomo in merce. Basta, al riguardo, pensare a quanto avviene in tema di procreazione. È necessario che, al più presto, si ponga mano alla elaborazione di un’etica del controllo sulla vita e sulla morte che le nuove tecnologie stanno offrendo. Non farlo, con serietà e tempestività, significherebbe annullare proprio il rispetto di quei diritti fondamentali che costituiscono una delle ispirazioni più importanti della benvenuta legge sul biotestamento.