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«Nessuno si alleerà con nessuno ora come ora. Le ipotesi sono due: o una deriva neotrasformistica frutto del logoramento, oppure un’invenzione politica inedita». Fausto Bertinotti, ex segretario di Rifondazione Comunista, guarda «senza alcuna empatia» alla sconfitta del Pd e teorizza un «anno zero della sinistra, che nasca da una tabula rasa e non dalle macerie di qualche formazione» .
E’ un voto senza vincitori, questo?
Tutt’altro. Eravamo abituati a risultati elettorali in cui tutti sembravano avere un po’ vinto e un po’ perso, oggi invece ci sono due forze vincitrici, ripartite geograficamente una al Nord e una al Sud, e una decisamente sconfitta, che in questo trova ragione della sua futura collocazione.
Detto così, sembra che la situazione sia molto chiara.
La geografia del voto è chiara, complicato è invece analizzare le tendenze politico- culturali e sociali che questo provoca. Per farlo, credo che la questione del lavoro sia molto significativa. Nel Nord, dove il lavoro c’è e la ricchezza è maggiore, il voto leghista è il voto di chi, malgrado il disagio presente, teme ancora di perdere qualcosa e dunque fa prevalere la paura, che prende la forma del migrante. Al Sud, invece, dove prevale quello che non c’è, il disagio sociale prende la forma di una domanda di appropriazione, rappresentata dal reddito di cittadinanza e quindi dal voto ai 5 Stelle.
Due populismi diversi, quindi?
Due voti anti- sistema politico, contro il governo e la filosofia della governabilità che ha rappresentato il regime precedente. Le vocazioni sono diverse, però, perchè hanno a che fare con i blocchi sociali.
E questi blocchi sociali non sono coalizzabili in un’alleanza di governo?
No, perchè in questo tempo in cui tutto e relativizzabile si può transigere sulle proprie opzioni politico- culturali, ma non sui propri interessi.
Significa che non è possibile trovare dei punti programmatici comuni?
Prendiamo la bandiera del reddito di cittadinanza, di cui è assolutamente trascurabile il merito e la sua probabile difficile realizzabilità, ma che ha valore sul piano simbolico. Ecco, questo è apparso al cittadino del sud, cui la so- cietà ha rubato un futuro costruibile attraverso il lavoro, come lo strumento attraverso il quale spezzare la catena dell’esclusione. Nel pensiero corrente di un lavoratore del nord, invece, il reddito di cittadinanza è un furto a chi col suo lavoro guadagna un reddito e contribuisce alla società. Questo è un esempio pratico di come i due blocchi sociali rappresentati da 5 Stelle e Lega non sono sommabili.
Il Pd invece starà all’opposizione?
Sì, e lo farà per ragioni esistenziali. Per richiamare Marx, i soggetti politici deboli vivono di quello che hanno mangiato e il Pd ha mangiato una sconfitta così bruciante da non consentirgli alcuna manovra. Per agire diversamente avrebbe bisogno di una costruzione ideologica che gli dia una prospettiva più ampia rispetto all’attuale quadro degli interessi. Invece, il Pd può solo reagire stando fermo e dunque all’opposizione.
Si tornerà alle urne, secondo lei?
Probabile, perchè le alleanze rebus sic stantibus sono impedite. Le alternative possibili sono due: una è che, con l’avanzamento della crisi e il logoramento di lunghi mesi, nasca un’ipotesi neotrasformistica, con la trasmigrazione di forze nella direzione di uno dei due poli vincenti, ai fini di costituire un governo. La seconda è un’invenzione politica inedita, che è sempre possibile sebbene tutto congiuri contro, perchè siamo dentro a una crisi profonda del sistema politico, di cui il Pd era l’architrave. La sua rovina è la rovina di quello stesso sistema.
La rovina del sistema è quella che relega il Pd all’opposizione?
Per il Pd si tratta di una specie di contrappasso. Aveva creduto di ascendere attraverso la governabilità, è stato sconfitto per la pratica di governo e ha portato agli inferi la sua stessa attitudine al governo, per cui non può che stare all’opposizione.
Questa sconfitta insegna qualcosa alla sinistra italiana?
Ora ha la possibilità di mettere a frutto un’unica lezione: la sinistra anno zero. Bisogna considerare finito un grande ciclo e, per dirla con Gramsci, quando tutto è perduto, quello è il momento di ricominciare da capo.
E da dove si ricomincia?
Sul campo sono rimaste solo macerie e l’idea di poter scegliere tra le macerie è insensato. Non funziona più la logica dello spostamento all’interno della geografia politica: dire “mi metto più a sinistra di qualcosa” non funziona più, non vuol dire nulla perchè è relativo al nulla. La sinistra può solo ricominciare da zero, non correggere ciò che rimane. Non è più il tempo del revisionismo, serve la tabula rasa.
Esiste, allora, questo germe che dia il via a una nuova creazione?
Si può rispondere che le premesse ci sono sempre, rispetto alla lotta alle disuguaglianze. Certo, però, è che se si continua a guardare a ciò che resiste dal passato, lì non si troverà più nulla. Se qualcosa deve nascere, nascerà su un altro terreno, mentre non nasce nulla dalla costola di un corpo che è cambiato geneticamente. L’eredità del Novecento è storia gloriosa ma finita e, se per sinistra si intende il partito dell’eguaglianza, quella è morta.