Il presidente della Fondazione Luigi Einaudi Giuseppe Benedetto è stato audito ieri in commissione Affari costituzionali del Senato sulla separazione delle carriere e ha puntato il dito contro l’ipotesi di rimanere con un solo Csm.

Presidente Benedetto, nella sua relazione si è scagliato contro l’ipotesi che rimanga un unico Csm. Perché?

Nel mio intervento in audizione ho sostanzialmente sviluppato la mia relazione nella quale al primo punto c’è un tema di grande attualità come appunto la questione del doppio Csm. Ho detto che se si dovesse procedere all’idea di tornare al Csm unico è meglio che il cammino della riforma finisca qui.

Il doppio Csm è il cardine della riforma, quale separazione delle carriere si può fare senza avere un doppio Csm? A questo punto il governo farebbe prima a non fare nulla.

Perché è così importante lo sdoppiamento del Consiglio superiore della Magistratura?

Perché senza doppio Csm la situazione resterebbe esattamente come ora. Su altri temi possiamo discutere: su concorso ad esempio possiamo discutere se farlo con legge ordinaria o se farlo unico o doppio; sul sorteggio possiamo discutere se farlo ponderato o meno; insomma, su molte cose si può riflettere. Ma il doppio Csm è esso stessa la separazione delle carriere e con un solo Csm tutto resterebbe così com’è, che è quello che ha detto Parodi nella sua audizione.

Cioè?

Il presidente dell’Anm ha spiegato che vorrebbe che tutto rimanesse così com’è e gli riconosco una grande onestà intellettuale. In maniera molto chiara ha smontato tutto il disegno della riforma, dicendo che sostanzialmente va tutto bene. È contro tutto, ma ripeto gli riconosco una grande onestà. Io invece sono perché tutto cambi e anche rapidamente.

Si possono comunque apportare delle modifiche alla riforma?

Ho fatto alcune osservazioni su diversi punti che possono essere migliorativi della legge. Ad esempio io non sono un fan del sorteggio ma arrivati a questo punto la cosa più urgente è approvare la riforma. Anche il discorso sull’Alta corte… diciamo che sarebbe più logico avere una doppia Alta corte visto il doppio Csm. Ma anche in questo caso prevale l’urgenza della riforma. Aggiungo che sono confortato dall’approvazione dell’ordine del giorno Costa che rinvia a legge ordinaria il doppio concorso, una cosa buona e giusta perché la Costituzione non prevede nulla sulla questione.

Lei ha paragonato un eventuale passo indietro lasciando un solo Csm a quanto accadde nel 1993. Perché?

Snaturare così la riforma vorrebbe dire fare un errore analogo a quanto i predecessori degli attuali legislatori hanno fatto in quel disgraziato ottobre 1993 quando misero mano all’art. 68 della Costituzione. In quel caso, per andare incontro al furore popolare, snaturarono un garanzia presente in ogni sistema parlamentare di democrazia liberale, fortemente voluta dai nostri padri costituenti. Insomma, tentarono di salvare se stessi sacrificando l’equilibrio tra poteri previsto dalla Costituzione, con il risultato che non salvarono se stessi e distrussero quel delicato equilibrio. Oggi, qualora dovesse passare l’idea di un unico Csm, i legislatori non salverebbero se stessi ma avvierebbero una riforma che riuscirebbe perfino a peggiorare la situazione attuale.

Perché dunque si parla di restare con un unico Csm?

Perché la politica ha paura di inimicarsi chissà chi e chissà che cosa. Mi auguro che siano solo indiscrezioni giornalistiche. Se continuiamo così non si va da nessuna parte. Ho fatto il paragone con il ’ 93 perché allora fecero quella riforma per paura dei “forconi”, distruggendo il sistema di equilibrio tra poteri. Non vorrei che lo stesso meccanismo possa oggi avere prevalenza a causa del timore di disturbare qualche potente pm.

Ieri il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto su queste colonne ha aperto il dialogo ma «senza ingerenze» della magistratura perché «le leggi le fa il Parlamento». Cosa ne pensa?

Sottoscrivo quello che ha detto Sisto. I magistrati e l’Anm devono comprendere che non sono sottoposti solo alla Costituzione, come siamo tutti, ma anche alle leggi ordinarie. Non possono rapportarsi solo con la Costituzione e non con il Parlamento. In una repubblica parlamentare le leggi, giuste o sbagliate, criticabili o meno, le scrive il Parlamento. Punto.