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Quando il gioco si fa duro, la differenza tra un mattatore e un leader non può più essere nascosta: il primo si restringe nelle battute; il secondo traccia una strategia. Per i Cinquestelle, la prima fase è esaurita da tempo; la seconda, allo stato, è una linea a zig- zag che fa venire il mal di mare.
Quando il gioco - in particolare quello politico - si fa duro, la differenza tra un mattatore e un leader non può più essere nascosta: il primo si restringe nelle battute; il secondo traccia una strategia. Per i Cinquestelle, la prima fase - quella dei Vaffa, degli psiconani e delle scrofe ferite - è esaurita da tempo, pur se qualcuno continua con quel repertorio; la seconda, allo stato, è una linea a zig- zag che invece di offrire speditezza fa venire il mal di mare. Oggi più che mai al Mo-Vimento - ma forse sarebbe più giusto dire a tutto il sistema democratico italiano - serve un timoniere che sappia maneggiare la bussola, una guida capace di indicare la rotta nel solco della credibilità. Al contrario, tutto ciò che Beppe Grillo e Casaleggio jr mettono in campo sono anacronistici divieti di parlare con i media oppure fantasmagorici algoritmi che di fronte ai problemi di una città ( e di un Paese) risultano drammaticamente insufficienti.
La vicenda del sindaco di Roma Virginia Raggi, tramortita da umbratili polizze di premorienza, relazioni sentimentali sottaciute, gossip al cianuro prima sussurrati e poi distillati via mail, può anche suscitare sarcasmo. Come pure è verosimile che, come avvertono i magistrati inquirenti, almeno su questo fronte non ci sia alcun reato da contestare. Ma il sarcasmo non è merce adatta per governare e la via giudiziaria è la peggiore, oltre che la più inutile, per abbattere un avversario. Quindi il problema non riguarda l’esterno, i competitor variamente collocati sull’asse destra- sinistra- centro: il vero grumo di ambiguità è dentro ai Cinquestelle, e solo loro possono scioglierlo.
Non è più tempo di accrocchi giustificatori buoni per i blog o di strumentali solidarietà che sono riflesso di debolezza. E non è nean- che più tempo di coretti, magari passando dall’onusto ' onestà- onestà' al più nuovo ' dimissioni- dimissioni'.
Troppo facile, troppo scontato. Il nodo è più grande, più di fondo. L’epopea grillina finora si è nutrita per un verso del rifiuto totale dell’edificio politico- istituzionale e dei suoi meccanismi, e per l’altro della difesa della diversità rispetto alla costituency di ogni altra forza politica. Due direttrici che hanno portato al rigetto di qualunque ipotesi di intesa o coalizione e a perimetrare l’accesso alla Rete con picchetti informatici in grado di impedire ogni contaminazione dall’esterno. Pagando per questo due costi piuttosto alti: l’isolamento nel rapporto con le istituzioni e le altre forze politiche, e l’adozione di decisioni con l’apporto di un numero ristrettissimo di adepti: nel caso delle ' comunarie', ad esempio, la Raggi fu scelta con 1700 voti.
Tutto questo nelle intenzioni doveva servire a salvaguardare la purezza primigenia del MoVimento. La realtà, e non la virtualità delle piattaforme informatiche, si è incaricata di sgretolare entrambi gli assunti. Lo splendido isolamento è diventato una camicia di forza ed è stato lo stesso Grillo, all’insaputa ( sic!) di parlamentari e militanti, a ingegnarsi per strapparla cercando l’intesa in Europa con i liberali dell’Alde. Non è andata bene. Anche al di qua delle Alpi, ora che si avvicina il momento elettorale, la questione si ripropone. Solo se i Cinquestelle si alleano, anche solo tatticamente, con altri gruppi - come accaduto quando assieme a Pd, Lega e FDI hanno costretto i capigruppo di Montecitorio a inserire nel calendario d’aula l’esame della riforma elettorale dimostrano di poter incidere sulle scelte importanti e qualificanti. Non appena l’ex comico fondatore del MoVimento è ritornato a premere sulla diversità, quella forza di pressione è svanita e i Cinque- stelle sono ripiombati nel ghetto della testimonianza solitaria di opzioni ancorate al nulla.
Ancor più grave è il secondo aspetto, che proprio la vicenda della Raggi squaderna. La volontà di strutturarsi come inespugnabile fortino è stata divelta dal reticolo di appoggi, sostegni, amicizie, relazioni che hanno portato la sconosciuta ex stagista dello studio Previti fin sul Campidoglio. E ora chi si vantava di voler aprire il Palazzo come una scatoletta di tonno per farci uscire il marcio, si ritrova con l’incubo di essere stato infiltrato. Magari è solo una supposizione. Però fa male lo stesso.
Sono ostacoli dove inciampa chi è costretto a correre e a crescere in fretta, è la giustificazione. Poteva valere all’inizio: ora che in ballo c’è il destino della Capitale del Paese è un domani anche del governo, quella motivazione mostra la corda. Per questo nei Cinquestelle è il momento del leader: sempre che ci sia e sia in grado di operare. Se davvero il binomio Grillo- Casaleggio ha in mente un disegno per l’Italia che non sia la rimasticatura di concetti importati, tipo la decrescita felice, è il caso di tirarlo fuori. Come pure è necessario che la medesima leadership intervenga per fare chiarezza sul viluppo di interessi, che in varie occasioni seminano sconcerto anche tra i militanti, che coinvolgono gli amministratori pentastellati. In caso contrario, il pericolo è che lo sconcerto si trasformi in delusione. E che la marcia sin qui trionfale dei grillini si tramuti in scomposta avventura. Un pericolo che dovrebbe allarmare non solo Grillo e i suoi. I Cinquestelle, infatti, hanno sin qui raccolto il vento di protesta e di indignazione di una parte considerevole dell’elettorato. Se si sgonfiano, ci sarà qualcuno che prenderà il loro posto. E sarà ancora più populista e demagogo.