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Nei giorni scorsi il direttore Sansonetti si è già occupato della polemica sollevata dall’Ordine dei giornalisti sulla istituzione degli Osservatori sulla informazione giudiziaria degli avvocati penalisti modenesi, accusati di voler esercitare una forma di censura sulla stampa e di volersi asseritamente occupare di “screditare” il processo “Aemilia”.
La polemica, tuttavia, non si è stemperata, e con un articolo on line del 30 gennaio, Il Fatto Quotidiano e un intervento sul blog di “Articolo 21”, si torna alla carica con titoli che già dicono tutto: “Gli avvocati controllano i giornalisti”. Nei brani, ancora una volta, previa la identificazione tra avvocati e loro assistiti propria di concezioni culturali autoritarie, si tornano ad accusare i legali di voler intimidire la stampa, di voler limitare il diritto di cronaca e di denunciare solo i casi di processi relativi a imputati ricchi, o potenti, o legati alla criminalità. E, stavolta, viene chiamato in causa anche l’Osservatorio nazionale sull’informazione giudiziaria dell’Unione Camere Penali italiane ed il li- bro bianco sull’informazione giudiziaria italiana, pubblicato con il controllo scientifico dell’Università di Bologna. Si reiterano poi le accuse ai legali di Modena e Reggio Emilia di voler usare strumentalmente gli osservatori per condizionare il processo Aemilia.
Ferme restando le puntuali risposte già date dai colleghi emiliani e dal presidente Ucpi Migliucci e pubblicate dal Dubbio, quello che è davvero preoccupante ( per chi dovrebbe fornire una informazione imparziale anche se riguarda la propria categoria) è la strumentalizzazione ed il travisamento delle altrui posizioni e la lettura distorta del libro bianco.
Questa pubblicazione ha esaminato, su 25 quotidiani italiani, circa 8000 articoli di cronaca giudiziaria in sei mesi: articoli che riguardavano ogni tipologia di processo ( per intenderci, anche quelli ai “poveri cristi”), raccogliendo dati che - seppure opinabili e discutibili come tutti - hanno consentito una lettura di politica giudiziaria sulla quale si è chiesto un confronto leale con i giornalisti. Confronto che in questi ultimi anni vi è stato ( il libro è stato presentato in numerose città, presso diverse Università ed in altre sedi pubbliche: sempre invitando giornalisti e dando luogo a un dibattito anche acceso ma sempre civile).
Il libro bianco propone certamente una tesi polemica: le risultanze della ricerca hanno dato conferma che, con le dovute e rispettabili eccezioni, l’impostazione delle cronache giudiziarie è quasi totalmente appiattita sulle tesi dell’accusa e sulla fase delle indagini preliminari e di polizia; lo spazio dato alla difesa è percentualmente irrisorio; le notizie pubblicate provengono in percentuale bulgara dall’accusa; le pubblicazioni avvengono molto spesso in violazione del disposto di due norme del codice ( 114 II co. e 329 c. p. p.) che vietano di riprodurre la testualità di atti processuali anche quando è venuto meno il segreto; le “fughe” di notizie comportano che spesso i legali apprendano notizie ed atti prima dalla stampa che nelle sedi processuali; l’immagine di chi è sottoposto al processo è “mascariata” prima ed a prescindere dal processo.
E il tratto più preoccupante ed evidente è lo stabilirsi di un asse tra investigatori e informatori destinato, volontariamente o meno, a condizionare o a rischiare di condizionare gli sviluppi del processo ( si pensi a testimoni che depongono dopo mesi di bombardamento mediatico e agli stessi giudici: proprio ieri, sul Dubbio, il presidente del Tribunale di Torino, non un avvocato “prezzolato”, ha denunciato il pericolo di un giudice preoccupato di assumere decisioni “impopolari”).
Detto questo, non si pretende ovviamente che questa analisi sia accolta con entusiasmo, ma che almeno non sia stravolta: è falso, gravemente falso, che i penalisti vogliano limitare il diritto di cronaca ed è preoccupante che si assuma essere impossibile criticare il mondo dell’informazione giudiziaria: se “Articolo 21” ha letto il libro bianco troverà, contrariamente a quanto afferma, più volte richiamata la sacertà della libera manifestazione della critica giornalistica; se ha letto i documenti dell’Osservatorio, troverà anche quelli a difesa del segreto professionale dei giornalisti ( mentre questi ultimi appaiono indifferenti alle violazioni di quello degli avvocati). E troverà anche spunti fortemente critici verso quegli avvocati che fanno strame del loro ruolo partecipando ai “processi mediatici” televisivi.
Ed allora, posto che un confronto si impone senza toni ( quelli sì) intimidatori, per una volta l’informazione giudiziaria - o almeno quella che assume queste posizioni - si interroghi anche su sé stessa, al di là delle norme di legge: sul rapporto con le proprie fonti investigative; sull’assenza di spirito critico verso le prospettazioni accusatorie; sulla necessità di rispettare la presunzione di innocenza; sulla impostazione che viene data alle notizie, ai titoli, alle decisioni assolutorie che vengono considerate “spreco di indagini”. E quanto all’accusa che ci viene rivolta di occuparci solo dei potenti, per una volta, completi il proprio compito informativo: si vada a documentare sulle battaglie storiche dell’Unione delle camere penali sui diritti dei migranti, sui processi agli stranieri, sulle denunce sui Cie, sul rispetto delle regole in ogni processo, chiunque sia accusato. Chè solo in Italia ricorre l’equivoco che “il potere” sia solo la politica, e che la magistratura sia il “contropotere”.
* RESPONSABILE DELL’OSSERVATORIO SULL’INFORMAZIONE GIUDIZIARIA DELL’UNIONE CAMERE PENALI ITALIANE