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Stabilire se per gli italiani sia meglio andare a elezioni a ottobre, col rischio di subire i contraccolpi di uno shock economico fatto di aumenti Iva, esercizio provvisorio di bilancio, scontro e possibili sanzioni della Commissione Ue, con in più la prospettiva di consegnare “pieni poteri” ad una leadership solitaria e autocratica. Oppure se acconciarsi ad un nuovo esecutivo sorretto da una maggioranza contraddittoria e raccogliticcia, unita dall’opportunismo del “vade retro” a Salvini, col pericolo di costruire un ingestibile ircocervo sotto il profilo dell’azione di governo e soprattutto fomentare ancor più il sentimento di rigetto degli elettori verso manovre di Palazzo incomprensibili e svilenti. Se fosse così, si tratterebbe di una “alternativa del diavolo” secondo il plot del romanzo di Frederick Forsyth, dove ogni scelta produce danni. Il punto è: ce n’è una terza? Forse diventa utile mettere in fila due o tre fatti. Il primo è che la crisi di governo, al di là di quale sbocco avrà, sancisce il fallimento del mito del governo populista- sovranista. L’idea di giustapporre in un unico calderone tutti gli umori che ribollono nel corpaccione dell’elettorato e pensare così di “cambiare l’Italia” si è rivelata un bluff. I cittadini pagano un anno e mezzo di Caporetto della precarietà, abolizione della povertà, rimpiazzo di due o tre disoccupati ogni pensionato con quota 100. Fole che hanno gonfiato la propaganda e le fake news, oggi messe inesorabilmente a nudo. Il secondo è che, piaccia o meno, in 17 mesi Matteo Salvini ha sovvertito a suo favore l’intero scenario politico. Ha vinto il duello elettorale con Berlusconi; ha divorato dall’interno l’alleato M5S rovesciando i rapporti di forza e adesso ottiene, praticamente gratis, anche la spaccatura e forse perfino la disarticolazione del maggior partito di opposizione. Risultati a dir poco straordinari, ottenuti non casualmente bensì in virtù di una sintonia con l’elettorato indiscutibile. Qualunque siano i calcoli e le strategie che i suoi avversari intendono mettere in campo, è da questo dato che occorre partire. Il terzo è che qualunque ipotesi di governo alternativo a quello di Giuseppe Conte non può che basarsi, visto il mare procelloso che dovrà affrontare, sulla ferrea compattezza delle forze politiche decise a sostenerlo. Se i Cinquestelle sono irresoluti e, sopratutto, se il Pd si scinde, il percorso risulta impraticabile fin dall’inizio. Attenzione a coltivare scenari avventuristi: hanno la caratteristica di rivoltarsi contro chi li persegue.