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Più o meno un anno fa di questi tempi, Matteo Salvini era considerato il padrone dell’Italia. Il fantasmagorico 34 per cento delle Europee, soprattutto se paragonato al misero 17 degli allora alleati pentastellati, ne facevano il dominus del quadro politico. Una leadership cementata anche dal vento anti-immigrazione che sembrava essere un incontrastato mainstream. Dodici mesi dopo il quadro è rovesciato. Non solo il capo leghista ha visto prosciugarsi alla grande il suo consenso, ma proprio per le scelte sui migranti il Senato lo spedisce sotto processo: altro che allori! Lasciamo stare le accuse e controaccuse di voltagabbana e il risentimento del Capitano verso Matteo Renzi. Casomai di Renzi andrebbe colto il ragionamento sull’uso della giustizia a fini politici. Ci torneremo. Quel che importa rilevare è che il punto di svolta della legislatura, ciò che ha consentito di passare disinvoltamente da una maggioranza gialloverde ad una Pd-M5S con lo stesso premier, è stato l’aver individuato in Salvini il “nemico” da abbattere, la ragione per la quale stringere l’intesa di governo tra due forze che fino al giorno prima se le erano date di santa ragione. E Conte, nell’intervento sempre al Senato contro il suo ministro dell’Interno, quel patto aveva suggellato. Ebbene ora il “nemico” è quanto meno azzoppato e sull’immigrazione, nonostante la situazione non sia migliorata e anzi tensioni e polemiche sugli sbarchi che continuano siano anche sopra al livello dell’estate 2019, molti preferiscono tenere gli occhi socchiusi. Ma se il cemento “contro” viene meno o risulta fortemente ridimensionato; se il pericolo dei “pieni poteri” illanguidisce o paradossalmente cambia verso con esimi costituzionalisti che giudicano incongruo il prolungamento dello stato di emergenza voluto da palazzo Chigi, su cosa deve reggersi quella che giustamente da Francesco Verderami sul Corriere della Sera è considerata una alleanza mai diventata coalizione? I maligni possono rispondere: sulla gestione del potere. Ma è una risposta superficiale. Ogni partito o forza politica mira al potere. Il punto è che col voto di ieri sono caduti gli alibi e la maggioranza giallorossa non ha davanti a sé altro compito che governare stilando un piano strategico preciso contando sul tesoretto della Ue. Tra poco meno di due mesi si aprono le urne. La campagna elettorale di Pd, M5S, LeU e Iv dovrà essere incentrata su questo: non più sulla sindrome del barbaro alle porte.