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Dopo i decreti “last minute” per rendere più difficile la detenzione domiciliare per motivi di salute ( ma anche i permessi di necessità) nei confronti di chi è recluso nei regimi differenziati, il governo sta accelerando per un nuovo decreto di modifica del 4 bis, l’articolo ostativo ai benefici, per contrastare – di fatto – gli effetti scaturiti sia dalla famosa sentenza Viola contro Italia della Corte europea di Strasburgo ( Cedu) che dalla Corte costituzionale in merito alla illegittimità del divieto assoluto del permesso premio nei confronti degli ergastolani che hanno deciso di non collaborare con la giustizia. Sentenze che avevano fatto molto discutere, evocando addirittura Giovanni Falcone quando – nella realtà dei fatti – il giudice fatto saltare in aria dal tritolo a Capaci non voleva escludere a prescindere i benefici penitenziari per i non collaboranti, ma soltanto allungare i tempi per la concessione.
Il dato di fatto è che qualsiasi modifica vorranno approvare, non potranno ritornare indietro e quindi gli ergastolani ostativi possono fare istanza per richiedere il permesso premio. Ricordiamo che si tratta di un beneficio penitenziario di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. La durata dei permessi non può superare complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione. Fino a quando la Consulta non ci aveva messo mano, chi non collaborava con la giustizia non poteva fare istanza per chiedere tale beneficio. Sono due le proposte di modifiche in campo che, come detto, non possono andare contro la decisione della Consulta ( e quindi contro i principi della nostra Costituzione), ma sicuramente rendono ulteriormente più difficile tale concessione. La prima ipotesi è la previsione di togliere il potere decisionale ai magistrati di sorveglianza territoriali e concentrarli tutti al tribunale di sorveglianza di Roma. In tal caso, la competenza di decidere sui reclami avversi ai provvedimenti emessi dal tribunale di Roma in materia di permessi premio potrebbe essere affidata ad un organo di seconda istanza, quale una sezione della corte d’Appello di Roma integrata dalla presenza di esperti. O addirittura, in alternativa, l’esclusione di far reclamo e andare direttamente in Cassazione.
In soldoni, nella prima ipotesi, vogliono far mettere da parte i magistrati di sorveglianza locali e accentrare tutte le decisioni al solo giudice romano. Parliamo d’altronde di una proposta già avanzata dal membro togato del Csm Nino Di Matteo e prontamente recepita dalla Commissione parlamentare antimafia. L’eventuale previsione di un accentramento, però, se approvata con decreto legge, non potrebbe corrispondere al principio costituzionale del giudice naturale, che per altro allontanerebbe il giudice “territoriale” dalla conoscenza della persona, che è invece fondamentale per apprezzarne le evoluzioni nel tempo. Da rilevare anche l’esclusione del reclamo, saltare quindi i passaggi “ordinari” e andare direttamente in Cassazione per saltum.
La seconda ipotesi invece prevede un “doppio binario” con una disciplina differenziata in ragione della tipologia dei reati per cui il soggetto è condannato. In tale ipotesi saranno i tribunali di sorveglianza “territoriali”, non il singolo giudice di sorveglianza, a decidere per i condannati di reati associativi, delitti mafiosi e di criminalità organizzata, eversiva o terroristica e traffico di stupefacenti. Cosa cambierebbe? In sostanza tale decisione non la prenderà il magistrato di sorveglianza, ma ci sarà un giudizio collegiale e rafforzato anche dalla presenza dei componenti esperti non togati e delle relative professionalità, nonché dalla partecipazione all’udienza della pubblica accusa. Anche questa seconda ipotesi prevede l’esclusione del reclamo optando esclusivamente per il ricorso in Cassazione. Ipotesi che presenta punti che potrebbero far discutere. Soprattutto per il rafforzamento del “doppio binario”, imperniato sul disvalore del reato commesso piuttosto che sulla valutazione della personalità del condannato. Ma, soprattutto, nasce ancora una volta un messaggio di sfiducia nei confronti dei singoli magistrati di sorveglianza.