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Su un punto sono (quasi) tutti d’accordo. Contrastare la violenza sulle donne significa prima di tutto riuscire a prevenirla. Magari con una strategia nazionale organizzata su tre livelli: cultura, diritto e formazione. C’è il caso, però, che quella violenza sia già entrata dalla porta di casa e con le chiavi, come si dice. Allora bisogna parlare non solo di prevenzione, ma di protezione. E rovesciare la visuale: «Il problema della violenza di genere non è un problema delle donne, questo è un concetto che dobbiamo superare. È di tutta la società e semmai, per dire la verità, è un problema degli uomini». A dirlo è il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, nel corso della conferenza stampa tenuta ieri in Senato sulla «prevenzione della violenza di genere attraverso l’intervento sugli uomini autori di atti di violenza domestica».
L’idea può fare storcere il naso, spiegano le due senatrici che hanno presentato un doppio disegno di legge per istituire dei centri di recupero per uomini «maltrattanti». Le relatrici, Donatella Conzatti, di Italia Viva, e Alessandra Maiorino, del Movimento 5 Stelle, fanno parte entrambe della Commissione sui femminicidi. Prima di formulare un «programma di gestione del rischio della violenza di genere» hanno studiato - raccontano - quella rete di supporto nazionale alle donne che va dalle case rifugio e i centri antiviolenza, al lavoro di questori e magistrati. In questa rete manca qualcosa, spiegano le due senatrici, ed è l’idea «culturalmente sbagliata» che agli uomini non serva aiuto per riconoscere e correggere i propri comportamenti violenti. Soprattutto in quei casi, i cosiddetti “reati spia”, in cui la violenza non è ancora efferata. Nel progetto di legge, infatti, si propone di finanziare e accreditare questi centri, nati a partire dal 2009, nella rete nazionale antiviolenza, con una doppia finalità: allinearli a un standard operativo e dislocarli in maniera omogenea sul territorio. Lo scopo è anticipare, con un automatismo, il momento trattamentale all’istituto dell’ammonimento erogato dai questori: gli uomini che hanno assunto comportamenti violenti sarebbero quindi invitati in «maniera normativamente cogente» a frequentare corsi di rieducazione.
«Credo che il parlamento e il governo stiano dando davvero un bel segnale», dice il guardasigilli. «È fondamentale - spiega - dare l’idea di una battaglia che si sta portando avanti con compattezza. Inoltre, bisogna non solo sanzionare e reprimere ma prevenire. Questo è l’elemento di novità che stiamo portando avanti». Secondo il ministro, è fondamentale lottare contro la «degenerazione culturale» con ogni strumento: «Dobbiamo continuare a promuovere eventi come quello di oggi ( ieri, ndr) - aggiunge - perché è importante che se ne parli e tante donne sappiano di avere tanti diritti da tutelare e che c’è uno Stato che sta già compiendo passi importanti che ottengono riconoscimenti a livello internazionale». Bonafede quindi passa in rassegna il primo anno di attività del “Codice Rosso”, la legge che ha introdotto, tra le altre cose, una corsia preferenziale di ascolto e intervento per le donne vittime di violenza. In base alla normativa, entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, il pubblico ministero deve sentire la persona offesa che ha presentato denuncia, in modo da agire tempestivamente: di qui la denominazione analoga ai casi più urgenti nei Pronto Soccorso. Dall’entrata in vigore del “Codice Rosso”, prosegue il guardasigilli, «sono stati avviati in numerosi istituti penitenziari i percorsi trattamentali specifici ( per gli uomini che hanno compiuto reati di violenza contro le donne, ndr). Stiamo avendo dei primi feed back positivi, e continueremo ad investire in questo senso, perché lo consideriamo uno dei tasselli fondamentali di un mosaico che stiamo cercando di costruire per proteggere le donne e i loro figli».
Dello stesso avviso la ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, che precisa: «Dobbiamo avere il coraggio anche di esplorare percorsi nuovi, perché il processo della violenza contro le donne ha molteplici sfaccettature». «La precondizione per superare questa piaga della violenza è la formazione di una piena parità di genere, di una valorizzazione dell’esperienza femminile in tutti i contesti del nostro paese. Una parità di genere - sottolinea la ministra nel suo intervento in Senato - che deve vedere come soggetti protagonisti anche gli uomini, perché non basta concentrarsi sulla vittima. Ecco perché i centri dell’antiviolenza devono chiedere agli uomini di assumersi la responsabilità della loro colpevolezza, e quindi conseguentemente di cambiare». Abbiamo bisogno, spiega Bonetti, di azioni che «cambino il paradigma sociale» a tutti i livelli in cui la violenza di genere si manifesta: tra questi l’economia e il lavoro. «Il fatto che molte donne non abbiano autonomia finanziaria nel nostro paese - spiega è un problema grande perché le priva di una libertà di scelta. È evidente che una donna che sa di non essere autonoma dal punto di vista economico fa fatica a denunciare la violenza domestica». Proprio per questo, il ministero della Famiglia lancia il “reddito di libertà”: «Un fondo di garanzia di 3 milioni di euro per dare fiducia alle donne che escono dalla violenza e aiutarle a reinserirsi nella comunità con un progetto concreto». Per la costituzione del fondo, spiega Bonetti, «abbiamo siglato un protocollo con l’Ente nazionale Microcredito, Abi e Federcasse e Caritas italiana» e, conclude, «i centri antiviolenza e la case rifugio saranno i protagonisti nella relazione con le donne vittime di violenza» .