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Si può anche non essere favorevoli all’eutanasia. Ma non si può disconoscere l’enorme valore della sentenza con cui ieri la Consulta ha premiato la battaglia di Marco Cappato, che è la battaglia di Marco Pannella e che a questo punto merita di entrare nel novero delle storiche vittorie radicali, esattamente al pari di divorzio e aborto. Con un dispositivo asciutto ma micidiale come una sferzata, la Corte costituzionale ha deciso di «rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 del Codice penale, inerente l’aiuto al suicidio, all’udienza del 24 settembre 2019». Sentenza rinviata dunque di un anno «per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina». E questo perché, «l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti». C’è tutto. Anche lo stringatissimo pro memoria sul fatto che «resta ovviamente sospeso il processo a quo», ossia il giudizio in cui Marco Cappato compare davanti alla Corte d’assise di Milano con l’accusa di aiuto al suicidio nei confronti di dj Favo. Cappato esulta, abbraccia madre e compagna di dj Fabo e parla di «risultato straordinario». Così i due legali che nell’udienza di martedì erano stati ammessi in udienza ( c’era un limite di due difensori per ciascuna parte). Secondo Filomena Gallo, che è anche segretario dell’Associazione Luca Coscioni, «la Costituzione ha trionfato sulle istanze paternalistiche del Codice penale fascista». E Vittorio Manes, intervenuto davanti alla Corte, spiega al Dubbio che la pronuncia è «un unicum: mai si era verificato che la Corte mettesse in mora il Parlamento con una scadenza».
In quel dispositivo c’è tutto. Vengono di fatto già accolte le ragioni sostenute da Cappato ma anche dalla Corte d’assise di Milano, che aveva rimesso alla Consulta la questione di legittimità. La Corte presieduta da Giorgio Lattanzi evoca chiaramente «determinate situazioni prive di adeguata tutela». Vuol dire che la norma sull’istigazione e l’aiuto al suicidio non tiene conto di quei casi tragici in cui, come dice Manes «l’anima è ormai separata dal corpo». E dunque aiutare una persona a mettere fine alla vita è un atto di pietà, non un crimine. Di fatto la sentenza sul 580 c’è già: nel senso che qualora il legislatore non assicurasse «protezione» a casi come quello di Fabiano Antoniani, di qui a un anno la stessa Corte si velegislatore drà costretta a dichiarare illegittimo l’articolo 580 del Codice Rocco nella parte in cui non tutela casi come quelli per cui è accusato Cappato.
Che sia così, che di qui a un anno la Corte costituzionale prenderebbe definitivamente in mano la situazione, lo suggerisce quella breve ma chiarissima locuzione: «… in primo luogo al Parlamento…». Manes non arriva a parlare di preavviso di sentenza d’illegittimità. Ma spiega che in effetti «la Corte osserva come sia meglio che sia il a sanare la lacuna. Ma soprattutto», aggiunge il difensore di Cappato e responsabile delle Camere penali per le Relazioni internazionali, «la Consulta evidenzia già con la decisione appena presa come vi siano gravi ferite costituzionali. In qualche modo abbraccia la causa sul tappeto. Il suo non è semplicemente un monito ma una messa in mora del Parlamento», spiega ancora il penalista. «Non era mai accaduto, non ci sono precedenti per questa pratica decisoria, che sembra evo- care il modello tedesco della incostituzionalità accertata ma non dichiarata» . L’altro fatto di enorme rilievo è che sul fronte del legislatore c’è una voce autorevole che si leva chiaramente a favore di un intervento sull’eutanasia: è quella della terza carica dello Stato, Roberto Fico: «La decisione della Consulta è un’occasione importante per il Parlamento. Serve più che mai adesso aprire il dibattito su un argomento delicato, rispetto al quale ci deve essere attenzione e sensibilità. La politica affronti il tema dell’eutanasia». Cappato ha ragione di esultare: «La Corte ha riconosciuto le nostre ragioni, dà un anno di tempo al Parlamento per fare ciò che chiedevamo da 5 anni. E un risultato straordinario, arrivato grazie al coraggio di Fabiano Antoniani e alla fiducia che Carmen e Valeria mi hanno fatto per la mia azione di disobbedienza civile», dice citando madre e compagna di Dj Fabo. «E dunque di fatto un successo – un altro, dopo la vittoria sul biotestamento, di Fabo e della nonviolenza, oltre che delle tante persone malate che, iniziando da Luca Coscioni e Piergiorgio Welby e finendo con Dominique Velati e Davide Trentini, in questi 15 anni hanno dato corpo alle proprie speranze di libertà». Fino ai ringraziamenti per tutto il collegio difensivo, di cui fa parte anche Gian Domenico Caiazza, appena eletto presidente dell’Unione Camere penali. Tra politica e giuristi si apre ora una partita non facile, eppure inevitabile.