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Vado incontro al collega pistoiese Andrea Mitresi di ritorno, come mi racconta, da una Istanbul pavesata di bandiere turche non solo sui luoghi pubblici, ma che sventolano, enormi, anche dai grattacieli di periferia; dove i giocatori di calcio sul campo fanno il saluto militare; dove secondo i sondaggi l’ 80% dei turchi sarebbe d’accordo con l’aggressione alla Siria, e se si pensa che i curdi sono il 18% della popolazione, significa che tutti i turchi sarebbero consenzienti, per quanto valgono i sondaggi specie da quelle parti e con quel regime. Del resto 6 giorni fa tutto il parlamento ha ratificato l’iniziativa di Erdogan di scendere in guerra, lasciando all’opposizione solo il partito democratico curdo, l’HDP ( 11%).
Mitresi, che è andato come Osservatore Internazionale dell’UCPI, è ancora palesemente turbato da quanto ha visto e ascoltato nella missione, la prima per lui. I colleghi turchi e associazioni europee di avvocati avevano convocato un meeting a Istanbul per esaminare la situazione creatasi per la giustizia turca a seguito delle udienze e della sentenza del marzo scorso contro 18 avvocati, di cui 6 in carcere da quasi due anni. Di questo processo il Dubbio ha dato ampiamente conto con dovizia di particolari, raccapriccianti per chi ha a cuore le regole del processo e il diritto di difesa: è inutile raccontarlo di nuovo.
«Ma il momento cruciale della missione era la visita nel supercarcere di Silivri da parte degli avvocati stranieri ai colleghi detenuti. Si immagini un po’: un complesso di 9 padiglioni per 23.000 detenuti in una zona ben lontana dalla città. Nel padiglione in cui stanno in isolamento i colleghi ci sono 5.000 detenuti. I colleghi sono in un’ala in cui ci sono gli isolati ( su 6, tre in totale isolamento, ma 3 in un’altra cella assieme, ma senza contatti con gli altri detenuti)», racconta Mitresi, riportando le parole di Selgiuk Kosagacli, il presidente dell’associazione di avvocati CHD, che ha riportato più di 11 anni di pena in primo grado ( altri sono arrivati a più di 18). Lo stesso Selgiuk, dopo tanta carcerazione sempre nelle stesse condizioni, ormai si lamenta: «E’ l’isolamento la tortura maggiore; le strutture carcerarie non sarebbero neanche male; mentre il personale è decisamente ostile nei nostri confronti. Del resto anche la nostra visita si è caratterizzata per un estenuante controllo: tre filtri, anche con analisi dell’iride e del viso, per accedere poi ad uno spazio angusto, dove a malapena sta un tavolo, e dove incontri non più di un detenuto, con le pareti tutte di vetro e le guardie al di là del vetro».
Ma l’incontro, svoltosi lunedì scorso, ha riservato a Mitresi anche una specie di colpo di teatro. Quando ha lasciato il collega detenuto Behic per incontrare Selgiuk, proprio in quel frangente, i militari ( che fanno le veci delle guardie penitenziarie a Silivri), hanno notificato a Selgiuk l’esito dell’appello contro la sentenza del marzo scorso. Si aspettava la sentenza da almeno due mesi ed era dubbio se sarebbe stata emessa in pubblica udienza o in camera di consiglio. Data l’importanza del caso e la corposità delle questioni sollevate, sembrava logico che si discutesse in pubblica udienza. Niente affatto. Decisione presa in udienza “camerale”, senza nessuno, e di rigetto di ogni capo di appello con una motivazione di tre paginette che non elenca nemmeno i motivi di gravame, ma semplicemente conferma le condanne «perché prese conformemente alla legge». «Io ero allibito», ammette Mitresi «e sono sicuro che l’hanno notificata proprio in quel momento, di fronte anche a me e con altri colleghi stranieri nei paraggi apposta per jattanza, per ribadire che loro possono fare quello che vogliono, che si sentono legibus soluti.
Ma Selgiuk ha sorriso e non ha fatto una piega perché, dice, se l’aspettava ed anche il fatto che non motivino sarà elemento che rafforzerà la nostra posizione in Cassazione. Certo, questo significa un’attesa di un altro annetto in carcere». In carcere, lo si è detto, ci sono 6 colleghi su 18, ma ora rischiano un mandato di carcerazione anche gli altri 12, poiché il merito è definitivo. Soprattutto è definitivo per chi ha preso una condanna inferiore ai 5 anni e, per legge, non può accedere al Supremo Collegio. Ma qui si situa un secondo colpo di scena: il parlamento turco, proprio due giorni fa, ha varato un “pacchetto giustizia” che, per quanto riguarda il penale, consente anche a chi ha riportato condanna inferiore ai 5 anni di ricorrere in Cassazione. «Così vanno le cose in questa Turchia, quando si crede di toccare il fondo, ma proprio il fondo, ecco che un nuovo provvedimento ti dà una boccata di ossigeno», osserva Mitresi.
«Abbiamo incontrato anche il Presidente del Consiglio dell’Ordine di Istanbul ( Istanbul Barosu) tutto impettito e incravattato» racconta Mitresi, «e sapendo che è assai vicino alla maggioranza governativa, non mi aspettavo grandi discorsi di solidarietà. Invece, attorno a questo caso anche lui è rimasto assai indignato. “Non mi esprimo e non potrei farlo nel merito della vicenda, ma ciò che è accaduto dal punto di vista processuale e del diritto di difesa, è stato scandaloso.
Peccato che i media non abbiano colto questo dato, perché è stato un vero e proprio terremoto per tutta la categoria dei difensori. Meno male che c’è la Cassazione”. Un terremoto, ha proprio detto il Presidente degli avvocati della capitale morale, che non sembrerebbe così sensibile ai problemi di democazia».
Ma, come mi conferma Mitresi, per averglielo detto molti colleghi turchi, la guerra in corso serve – come tutte le guerre – per ricompattare il consenso al governo e non far pensare ai problemi di economia o democrazia interni. Almeno per un po’.