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«I porti con me rimangono indisponibili, chiusi e sigillati». Matteo Salvini replica con tutta la chiarezza di cui dispone a Luigi Di Maio ed Elisabetta Trenta, rispettivamente ministro del Lavoro e della Difesa, che in mattinata avevano messo in discussione la semplicistica soluzione del blocco degli approdi italiani davanti alla crisi libica. Perché chiudere un porto, secondo il capo politico pentastellato, funziona solo come «misura occasionale», ma risulta totalmente inefficace quando è in corso una guerra a pochi chilometri dalla costa.
«Se il ministro Di Maio e Trenta la pensano in modo diverso lo dicano in Consiglio dei ministri e faremo una franca discussione», ribatte stizzito il segretario della Lega, prima di rivolgersi direttamente al collega vice premier: «Non mi permetto di dargli lezioni su come risolvere le centinaia di crisi aziendali che sono ferme sul suo tavolo», dice Salvini. «Chiedo altrettanto rispetto: di ordine pubblico, sicurezza, difesa dei confini mi occupo io. Ci metto la faccia e rischio personalmente», chiosa il titolare del Viminale. E se il capo dei 5 Stelle dice di non voler «polemizzare» con l’alleato perché l’unico obiettivo dovrebbe essere «proteggere l’Italia, le sue aziende e prevenire un’altra emergenza migratoria», la ministra della Difesa non rinuncia affatto al battibecco con il leader del Carroccio. «Oggi vedo che la Lega e qualche movimento di estrema destra è partito all’attacco della sottoscritta», scrive in una nota Trenta. «Posso invitarli tutti da me, al ministero, così gli spiego un po’ di diritto internazionale e magari capiscono cosa possono produrre i loro toni aggressivi sulla Libia» , risponde a tono la ministra Elisabetta Trenta in una nota. «Che poi il paradosso è che gli stessi che gridano alla guerra, dalla Lega a Fdi, sono gli stessi che fanno propaganda sui migranti», aggiunge, puntando il dito contro l’alleato come fosse un avversario politico. Perché a Tripoli, ricorda Trenta, c’è un conflitto in corso, e chi fugge da un conflitto non può essere liquidato come migrante economico, «lo status di chi scappa da un paese in guerra è quello di un richiedente asilo», dice la ministra.
Ma la Libia è solo uno dei terreni su cui Movimento 5 Stelle e Lega hanno deciso di sfidarsi in campagna elettorale. In ballo, oltre alle Europee, ci sono gli equilibri interni alla maggioranza e nessuno dei due “soci” di governo intende mollare la presa. È la ragione per cui Salvini attaccaa giorni alterni i 5 Stelle anche sull’amministrazione della Capitale, definita, nel migliore dei casi, in mano a una sindaca, Virginia Raggi, incapace. L’ennesimo “siluro” lanciato sul Campidoglio dalle linee amiche non è passato inosservato a Di Maio, costretto a replicare al ministro dell’Interno anche su questo fronte. «Quando la Lega è un po’ in difficoltà, perché a loro i sondaggi pesano di più, rimette in mezzo la questione Roma», dice il vice premier grillino, evocando l’antica anima anti meridionalista dell’alleato. «È un giochino che ho visto fare più volte ma non rispondo perché quella città è stata divorata negli anni da mafia capitale e dobbiamo noi rimettere a posto. Ed è una città che ci è stata lasciata così dai governi di destra e di sinistra», argomenta Di Maio, parando l’ennesimo colpo.
Il rischio è che a furia di battute al vetriolo e repliche stizzite l’alleanza giallo- verde non sopravviva a una campagna elettorale più dura del previsto.