Il disegno della piccola A. sarebbe stato «modificato», con l’aggiunta postuma delle mani che si allungano sulle parti intime della bambina, per raccontare un abuso. A ribadirlo in aula è stata la pm Valentina Salvi, nel corso della seconda giornata di requisitoria del processo sui presunti affidi illeciti in val d’Enza, che ha portato in aula il caso della bambina che alla maestra di sostegno aveva detto «D. mi tocca nelle zone intime…. Mi manca il sesso. Mi manca D.», ex compagno della madre.

La pm ieri in aula ha mostrato il disegno in verticale, orientamento che restituisce l’immagine di due persone vicine. Il disegno completo in orizzontale comprende però anche un letto, sul quale sono stesi, l’uno sull’altra un adulto e una bambina. Per Salvi, sarebbe stata la psicologa Imelda Bonaretti (difesa da Franco Libori e Franco Mazza) ad aggiungere un elemento che rimandasse al presunto abuso. La difesa, invece, si era rivolta a Lorena Calvarese per certificare la genuinità del disegno. «La complessità dei tratti, le variazioni pressorie e la presenza di cancellature sono coerenti con le difficoltà motorie e la personalità grafica della minore», aveva detto la consulente.

Per la pm, però, Calvarese non avrebbe usato metodi scientificamente validati: «Il software utilizzato e il nome Hugh Maxwell sono assolutamente ignoti nella comunità scientifica - ha dichiarato Salvi - e non vi sono assolutamente informazioni sul web né di questa tecnica, né del suo autore». Secondo la pm, infatti, le nuove tecniche utilizzate dalla grafologa non sarebbero considerate nei protocolli attualmente applicati. Ma trattandosi di tecniche di ultima generazione aveva sottolineato Calvarese in aula -, sono valide e riconosciute scientificamente come più adeguate e ripetibili. Il tribunale, in quell’occasione, aveva deciso che non fosse necessario sentire un consulente per questa questione.

Alla bambina, ha sottolineato Salvi, «non piaceva disegnare le mani e non le sapeva disegnare». Una bimba «seguita e curata», allontana d’urgenza senza che ciò fosse necessario, secondo l’accusa. Ma il sospetto di abuso da parte dell’ex compagno della madre della piccola aveva portato ad una relazione da parte dei servizi sociali, il cui unico obiettivo, secondo l’accusa, era «semplicemente quello di allontanare A. dal nucleo familiare».

Erano stati i nonni, inizialmente, a chiedere aiuto ai servizi sociali, data la giovane età della madre e i problemi del padre della bambina, assumendo degli impegni a seguito dei quali «la situazione migliorò moltissimo e di questo ne danno conto tutti», ha sottolineato Salvi. «Stiamo parlando di un nucleo familiare che ad ogni necessità, ad ogni momento di difficoltà chiede aiuto e chiede aiuto sempre a quelli che sono stati referenti, cioè ai servizi sociali di cui si fidavano, chiede aiuto alla psicologa che per loro era diventata una figura di riferimento».

Ma per ottenere l’obiettivo allontanamento, ha affermato la pm, i servizi avrebbero anche omesso di segnalare i miglioramenti del padre, affetto da alcuni disturbi, cristallizzando la sua situazione al tso eseguito nel 2016 «e spacciato alla magistratura per un dato attuale nel febbraio del 2018».

Secondo l’accusa, il programma anche nel caso di A., «era l’allontanamento», per mandare la madre a fare psicoterapia da Claudio Foti (assolto in via definitiva) e la figlia da Nadia Bolognini ( attualmente a processo e difesa da Luca Bauccio e Francesca Guazzi). Per fare ciò era necessario certificare un abuso, motivo per cui, secondo l’accusa, la bambina sarebbe stata sottoposta anche ad una visita ginecologica non necessaria, sfruttando sintomi risalenti nel tempo.

Ufficialmente, la bambina si sarebbe ambientata bene nella casa famiglia che l’accolse dopo l’allontanamento, affrontando il distacco con serenità, sentendo solo un po’ di nostalgia. La realtà raccontata da chi l’ha vista, però, sarebbe stata diversa, ha sottolineato la pm, che ha parlato di pianti incontrollabili, tanto che anche la comunità che l’ospitava avrebbe manifestato difficoltà nel gestire il suo disagio. Un dolore che, secondo la pm, sarebbe stato minimizzato o addirittura ignorato dai servizi. Ciò nonostante diversi testimoni, in aula, abbiano spiegato che la ragazza, in affido, era «rifiorita».