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I magistrati mostrano la Costituzione in segno di protesta contro la separazione delle carriere
E se la separazione delle carriere fosse una scorciatoia? Un compromesso astuto, ingegnoso ma anche un po’ infingardo, per citare un aggettivo adoperato da Giovanni Maria Flick nell’intervista attorno a cui ruota questo numero del Dubbio? È una domanda inevitabile. Non solo alla luce delle considerazioni svolte dal presidente emerito della Consulta, ma anche vista la genesi della riforma, il contesto politico da cui proviene.
L’attuale maggioranza è assai meno omogenea, sulla giustizia, di quanto possa far credere la sua marcia compatta, unitaria, quasi marziale al fianco del guardasigilli Carlo Nordio. Intanto va ricordato come fino a meno di un anno fa tanta comune determinazione sarebbe stata impensabile. Poi c’è stata una carambola. Improvvisa, e inesorabile. Da una parte il pressing di Forza Italia, che ha voluto le carriere separate, e ne ha fatto la propria bandiera, anche in vista delle Europee dello scorso giugno.
Dall’altra un repentino raffreddamento di Palazzo Chigi, e di Giorgia Meloni in particolare, sul premierato. Troppo rischioso battersi contro le opposizioni per una riforma esposta, a torto o a ragione, alla facile accusa di implicare una svolta cesarista. Così, la presidente del Consiglio ha realizzato, fino al clamoroso cambio di rotta dell’estate scorsa, che la separazione delle carriere è la sua sola possibilità di lasciare un segno “costituente”, di rivendicare meriti da statista, e di affrancare così la propria figura dallo stigma del postfascismo. Anche considerato che l’altra riforma istituzionale, peraltro di rango ordinario, e cioè l’autonomia differenziata, presenta ben altre controindicazioni politiche, e da Fratelli d’Italia è sempre stata percepita, seppur incoffesabilmente, come una mezza iattura.
Restava solo la giustizia, solo la “separazione”. Era il ddl Nordio, la vera, imperdibile chance. E così ora la maggioranza ha portato a casa la prima delle quattro letture parlamentari necessarie, con la seconda in fase di accelerazione a Palazzo Madama.
Separare le carriere non è inutile. Com’è stato chiarito in un editoriale del direttore, questo giornale sostiene la riforma, seppur con l’impegno di promuovere e ospitare il dibattito fra gli opposti schieramenti, inclusa la magistratura già calatasi nella trincea anti-Nordio. Ma al di là del giudizio sul ddl costituzionale in sé, c’è un altro problema. Flick ne parla con il tono di un padre nobile della giustizia: senza fare nomi, senza entrare nelle pieghe delle contraddizioni fra i partiti, di maggioranza e di opposizione. Una cosa però è indiscutibile, e la si accennava all’inizio: il centrodestra è idealmente assai poco omogeneo sulla giustizia. Forza Italia è generalmente agli antipodi di FdI e Lega: sulle garanzie nel processo, sulla revisione del doppio binario nella legislazione antimafia, sulle intercettazioni e, soprattutto, sul carcere. Non riescono neppure più a rivendicare la loro diversità, i berlusconiani: certo, se solo ne avessero la facoltà, farebbero ben altre scelte, soprattutto in ambito penitenziario.
La Lega, e ancor più Fratelli d’Italia, si celano dietro la fragilissima – non ce ne voglia Nordio che prova a nobilitarla – teoria del garantismo differeziato, valido cioè a processo in corso ma inservibile quando si sia definitivamente accertata la colpevolezza dell’imputato. A quel punto, secondo tale asimmetria concettuale, si può dismettere ogni remora, passare dalle “garanzie” alla “garanzia di crudeltà”, e lasciare i detenuti in carceri pollaio, anche se si tratta di una donna con un figlio neonato. Che paghi, arrivata a quel punto. Che marcisca, al limite. E se si suicida? Peccato, ma viene prima la sicurezza di chi sta fuori e, all’inferno della prigione, per merito o ventura, è scampato. È mai possibile che una maggioranza siffatta possa partorire la più importante e articolata riforma costituzionale della giustizia di tutta la storia repubblicana? Certo che è possibile. Proprio perché la riforma riguarda, direttamente, solo i magistrati, con la politica, intesa come complesso delle scelte sulla giustizia, che si “compromette”, in quel pur condivisibile progetto, solo in modo parziale.
La separazione delle carriere potrà riverberarsi solo in modo indiretto sul destino degli imputati e degli eventuali condannati. Cioè sulla pena, sul carcere, ma anche su altri aspetti comunque divisivi per l’attuale maggioranza.
Ed ecco perché è vero che, come dice Flick, le carriere separate possono diventare il pietoso velo dietro cui nascondere tutte le contraddizioni del centrodestra sulle garanzie, sul sistema penitenziario e, in qualche caso, anche sul sistema processuale, a cominciare dalle intercettazioni e in particolare dai trojan. C’è una realpolitik che alla fine prevale sul resto. Ma si lascia dietro sacrifici umani. Quelli dei detenuti, delle madri con figli neonati che ora rischiano di allattare in carcere. I sacrifici umani, sanguinosissimi (in senso metaforico ma anche materiale, come attesta qualche tragico caso di suicidio) degli imprenditori colpiti, per loro sventura, da una misura di prevenzione antimafia, privati di tutto, anche prima che si concluda il processo penale, l’unico in cui le accuse di 416 bis siano sottoposte a un vero vaglio nei tre gradi di giudizio: imprenditori, persone che spesso non riescono a riavere i loro beni anche se assolte. Restano sacrificati i cittadini sottoposti al micidiale trojan, violati nella loro intimità fin dentro la camera da letto, in una fase in cui sono presunti innocenti, e senza alcun reale rimedio quando quell’innocenza sia accertata.
Sono battaglie a cui, per la gran parte, Forza Italia ha rinunciato. Se ne parlerà forse nella prossima legislatura. Troppo scomodo lasciare sul tappeto simili contraddizioni: meglio nasconderle sotto. E la separazione delle carriere, pur con tutte le validissime ragioni che l’accompagnano, rischia di essere anche l’improprio alibi per tenere quelle contraddizioni al riparo dalla luce.
C’è solo una cosa da aggiungere. Ed è il messaggio affidato da Flick all’intervista che trovate in questo numero: il cinismo può essere della politica. Ma non dell’avvocatura. Che non dovrà accontentarsi. E dovrà, allo stesso tempo, battersi per la separazione delle carriere, fino al referendum, e continuare a dire alla maggioranza che non ci potrà mai essere alcun merito tanto grande da condonare così gravi, imperdonabili amnesie.