«Ci rendiamo conto che la legge Severino confligge almeno teoricamente con il principio della presunzione di innocenza. D’altro canto, questo principio è già affievolito in altre situazioni del nostro codice di procedura penale». Una presa d’atto allo stesso tempo severa e fatalista, quella espressa ieri dal ministro della Giustizia Carlo Nordio in risposta a un’interrogazione di Forza Italia sulle criticità relative alle norme del 2012, e in particolare alla sospensione di amministratori regionali e locali a seguito di sentenze di condanna non definitive.

Il guardasigilli ha di fatto ribadito che la “Severino” non cambierà, che si tratta di un’arma utile a contrastare la «criminalità amministrativa», provocando la reazione del partito di Antonio Tajani. È stato innanzitutto Pietro Pittalis, deputato azzurro che l’ha interrogato al question time a Montecitorio, a dirsi deluso della replica. Poi il parlamentare ha diffuso un nota insieme con gli altri componenti forzisti della commissione Giustizia – il capogruppo Tommaso Calderone, Enrico Costa e Davide Bellomo – in cui si legge che la posizione di Nordio «contraddice l’impegno assunto dal governo in Parlamento ' ad adottare tutte le iniziative di propria competenza finalizzate a sopprimere l’istituto della sospensione dalle cariche... in conseguenza di condanna non definitiva, nonché a disporre una revisione generale del richiamato decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (la cosiddetta legge Severino appunto, ndr) in tema di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.

Riteniamo che la legge Severino contrasti in molte parti con la presunzione di innocenza e abbia determinato la sospensione dalla carica di molte persone innocenti che nei gradi successivi sono state assolte, con ciò capovolgendo il responso elettorale. Difendere i principi costituzionali, che norme populiste hanno piegato e soffocato, significa garantire il buon andamento della pubblica amministrazione, scongiurando cedimenti alla scorciatoia giudiziaria e tutelando gli innocenti da conseguenze irrimediabili. Lavoreremo affinché a breve sia il Parlamento a esprimersi sulla proposta di legge che abbiamo presentato», è l’annuncio dei parlamentari di FI.

Dovranno fare i conti con la linea rappresentata da Nordio, secondo il quale «in questo momento la nostra maggiore preoccupazione è la lotta alla criminalità amministrativa: non possiamo e non intendiamo cambiare l’ordinamento che c’è».

D’altronde le parole del titolare di via Arenula vanno lette alla luce di quanto già emerso nell’ultimo vertice di maggioranza sulla giustizia, nel quale era stata ribadita l’assoluta priorità della separazione della carriere. E, di conseguenza, la volontà di accantonare altri dossier in materia di giustizia penale, volontà precisa in primis di Giorgia Meloni e del sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano, e sposata anche dallo Nordio.

Focalizzarsi su provvedimenti che potrebbero essere in qualche modo additati dal centrosinistra (e dall’Anm) come «favori ai colletti bianchi» significherebbe correre il rischio che l’idea di impunità “contagi” anche il percorso della separazione delle carriere, irritando magari anche lo stesso elettorato di centrodestra.

IL PRIMO SÌ AL DDL SULLA CORTE DEI CONTI

Da qui la volontà di Nordio di “abbassare i toni” anche rispetto alla “Severino”, mentre altro discorso è quello sulla riforma della Corte dei Conti, appena messa nero su bianco: ieri Montecitorio l’ha licenziata in prima lettura con 136 sì, 75 no e un astenuto.

La proposta di legge reca la firma dell’ex capogruppo FdI alla Camera ora ministro con delega al Pnrr, Tommaso Foti.

Esclude la responsabilità per colpa grave in caso in cui si raggiungano accordi in sede stragiudiziale o nel corso del processo a carico di amministratori pubblici, incluse le transazioni fiscali in materia tributaria. In circostanze simili, la responsabilità è limitata solo ai fatti e alle omissioni commessi con dolo.

Inoltre, si dispone che i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche che concludono accordi conciliativi sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti per l’accertamento della sussistenza di responsabilità contabile per colpa grave, limitando tuttavia quest’ultima alla negligenza inescusabile derivante da grave violazione di legge o da travisamento dei fatti.