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il Presidente ANM Cesare Parodi, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio in occasione del convegno '(In)Separabili - Pm e giudici alla prova dell'equa distanza'
«La riforma della giustizia, dal mio punto di vista, è improcrastinabile» : concetto quasi scontato quello ribadito ieri dalla premier Giorgia Meloni al Senato e confermato anche dal ministro Carlo Nordio al convegno organizzato da Noi Moderati dal titolo “(In) Separabili - Pm e giudici alla prova dell’equa distanza”: «La riforma è sicuramente intoccabile. Adesso aspetteremo il referendum e auspico che vi si arrivi con la stessa serenità con cui stiamo discutendo oggi (ieri, ndr), utilizzando argomentazioni tecniche, senza pregiudizi e senza slogan. Chiunque perda non dovrà essere umiliato».
Che la riforma della separazione delle carriere non fosse minimamente emendabile lo si era capito al termine dell’incontro del 5 marzo tra governo e Anm. Ma ieri il dibattito organizzato alla Camera dal neo responsabile giustizia di Noi Moderati, l’avvocato Gaetano Scalise, è stata la prima occasione di incontro pubblico tra il guardasigilli e il presidente dell’Anm Cesare Parodi dove entrambi hanno ribadito le ragioni a favore e contro la riforma. Il guardasigilli ha ripetuto ancora una volta che dietro di essa «non c’è alcun intento punitivo. Certo è vero come ha detto l’amico Parodi che non influisce sull’efficienza della giustizia, ma noi abbiamo sempre detto che il suo scopo è quello di far percepire il giudice come imparziale. Il pm dà i voti ai giudici per le loro promozioni nei consigli giudiziari. Lo fa con imparzialità e spogliandosi dei pregiudizi ma la percezione che ha il cittadino è diversa».
Il responsabile di Via Arenula ha poi assicurato che «non c’è alcun progetto in studio sulla responsabilità civile dei magistrati». Però si è chiesto: «È possibile che il 99,99% dei giudizi dati dai magistrati su altri magistrati siano tutti eccellentissimi e poi si scopre invece altro? Il Csm non funziona come dovrebbe funzionare, altrimenti non avremmo queste discrasie. Perché sappiamo tutti che ci sono le correnti e ci sono stanze di compensazione per cui tutti si proteggono tra di loro». Se è vero che la distanza sulla riforma è siderale, Nordio ha però annunciato che giovedì incontrerà Anm per parlare dell’efficienza della giustizia, «raccogliendo - ha detto il guardasigilli - tutti i suggerimenti e contributi che i magistrati vorranno darci in base alla loro esperienza e in base alla mia. Le priorità sono innanzitutto la giustizia civile, l’implementazione del Pnrr e la giustizia telematica. Ma anche sulle riforme ordinamentali, come le misure cautelari, vogliamo conoscere come pensare di stabilire punti di incontro».
Proprio su questo tema si è espresso Parodi: «La senatrice Bongiorno prima ammette che la riforma non accelera i processi ma poi», chiamata in causa per queste sue parole, «precisa che migliorerà la qualità del prodotto. Io vi chiedo come questo possa avvenire. Vuol dire che fino ad oggi il giudice non è stato terzo?». I fautori della riforma, ha proseguito il leader delle toghe, «richiamano la necessità dell’equidistanza: oggi abbiamo una percentuale del 40 per cento di assoluzione.
Questo significa che il giudice non va dietro al pm in maniera cieca. Cosa volete, il 70 per cento? Allora avremmo tutti pm incapaci. Va benissimo la parità delle armi tra accusa e difesa e la presunzione di innocenza, ma il problema è un altro e cioè quando l’avvocato Scalise sostiene che vuole un pm che non ricerchi le prove a favore dell’indagato. Io ho una idea diversa della cultura della giurisdizione: pur considerando alcuni indagati colpevoli ho chiesto l’archiviazione perché non c’erano abbastanza prove».
Parodi ha poi assicurato: «Ho letto dichiarazioni di politici che temono che l’Anm diventi un partito dei giudici: non avverrà almeno fin quando io sarò presidente. Non vogliamo diventare un partito politico». Tra i relatori il presidente dell’Ucpi, Francesco Petrelli: «I nostri padri costituenti, spesso evocati a proposito di questa riforma, non è che non si posero il problema della collocazione del pm all’interno dell’ordinamento giudiziario e anche della possibilità di tenere distinte le carriere. Ma in virtù del legame che intercorreva tra modello processuale e ordinamento della magistratura risolsero la questione nel modo più naturale rispetto al modello di processo dell’Italia di allora, ossia quello inquisitorio nato nel 1930 con il codice Rocco. Pm e giudici erano vincolati da quella che il guardasigilli di Mussolini, Dino Grandi, nel 1941 chiamava “l’unicità spirituale della magistratura”. La storia successiva ha aperto una cesura, ha voltato pagina, e ha stabilito che la ricerca della verità nasce dal contraddittorio di due parti. Nel 1988 questo Paese, abbandonando il modello autoritario, ha aperto le finestre al codice accusatorio in cui pm e difesa si confrontano dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale».
Ha preso la parola anche il costituzionalista Giovanni Guzzetta: «La sentenza della Consulta 58/ 2022 aveva stabilito che la Costituzione, “pur considerando la magistratura come un unico “ordine”, soggetto ai poteri dell’unico Consiglio superiore (art. 104), non contiene alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati”. Quindi dal punto di vista costituzionale non ci sono vincoli. La questione è politica». Tuttavia, ha proseguito il giurista, «da costituzionalista ci tengo ad un uso rispettoso della Costituzione. Esiste una pancostituzionalizzazione selettiva, per cui l’unicità delle carriere sarebbe stata incisa sul marmo dai padri costituenti. In realtà come disse un monumento del diritto come Giuseppe Bettiol nel 1947, “è proprio dei regimi totalitari voler considerare il pubblico ministero come un organo della giustizia”».
Guzzetta ha poi concluso: «I contrari alla riforma sostengono che il pm non sarà più contagiato dalla cultura della giurisdizione. Ma i contagi funzionano in entrambe le direzioni: bisogna vedere chi contagia chi. Così come è sostenibile la tesi per cui il pm sia positivamente contagiato dalla cultura della giudice, logicamente è altrettanto sostenibile che il giudice sia negativamente contagiato dalla cultura inquisitoria del pm».
Ad aprire il dibattito era stato il segretario della Camera, Alessandro Colucci, deputato di Noi Moderati: «Questa riforma non è una vendetta contro la magistratura. Chi sostiene questo non vuole entrare nel merito della norma». Aveva introdotto Gaetano Scalise: «Vogliamo una riforma che dia all’uomo della strada la sensazione di essere giudicato da chi è equidistante dall’accusa e dalla difesa. Con essa aumenterà l’autonomia e l’autorevolezza nei confronti del cittadino; il risultato che dobbiamo ottenere, al di là delle reciproche posizioni ideologiche, sono proprio i vantaggi per il cittadini, il loro sentirsi più garantiti dal sistema giustizia».