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Il 20 Luglio scorso l’Alta Corte Amministrativa del Nord Reno Westfalia, in Germania, ha emesso due sentenze che aprono uno scenario a tratti inedito e dipingono un quadro non certo edificante, a dir poco, per quanto riguarda la politica sui richiedenti asilo dell’Italia. La decisione dei giudici tedeschi riguarda due cittadini stranieri ( un maliano e un somalo) arrivati in Germania dopo aver fatto domanda di protezione internazionale sul suolo italiano.
Per l’Alta Corte i due rifugiati non possono essere rispediti in Italia perché rischierebbero «un trattamento inumano e degradante». Parole chiare che sottolineano alcune criticità e segnalano problematiche ben più complesse. Per il Tribunale amministrativo infatti – si legge nel comunicato del Land - «i richiedenti asilo e i beneficiari di protezione che si sono trasferiti dall’Italia in Germania e non hanno prospettive di alloggio e lavoro ( in Italia ndr.) non posso essere ritrasferiti».
I due cittadini, un somalo, già titolare di protezione in Italia, e uno proveniente dal Mali che aveva anch’esso chiesto asilo a Roma. Le loro domande di protezione in terra tedesca sono state giudicate non respingibili perché «sussiste il grave rischio che in caso di rientro in Italia, i loro bisogni più elementari non vengano soddisfatti a lungo termine». Il Tribunale della Renania Nord- Westfalia ha così respinto la richiesta di inammissibilità portata avanti da altri Corti ma di rango inferiore, il Tribunale amministrativo di Munster e quello di Minden, accogliendo i ricorsi dei due rifugiati.
L’Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati tedesco aveva infatti respinto la domanda di protezione internazionale del somalo proprio perché già concessa. Contestualmente i giudici di Munster avevano motivato la loro decisione affermando che i beneficiari di asilo in Italia hanno ( avrebbero) diritto a vivere per sei mesi nei centri di accoglienza e inoltre possono accedere ai bandi per l’assegnazione di case popolari. Allo stesso modo non gli è precluso il mercato del lavoro e godrebbe delle prestazioni sociali. Secondo la Corte di Munster poi il cittadino somalo, che è giovane e in buone condizioni di salute, non sarebbe minacciato da difficoltà materiali estreme e, anche in mancanza di sostegno da parte dello stato, potrebbe cercare un’attività retribuita e a occuparsi del proprio sostentamento.
Diversa invece la situazione dell’uomo arrivato in Europa dal Mali. La Corte di Minden infatti aveva ritenuto inammissibile la sua richiesta di asilo in Germania perché il cittadino africano aveva già iniziato la stessa procedura in Italia e dunque la competenza sull’eventuale accoglimento spettava a Roma. In ogni caso il Tribunale amministrativo della città della Renania aveva riconosciuto che il maliano aveva diritto in ogni caso a portare avanti la sua azione in quanto «in Italia all’attore sarebbe stato sottratto il diritto all’alloggio tramite una procedura standardizzata e regolarmente eseguita; egli non avrebbe i mezzi economici sufficienti per guadagnarsi da vivere, né avrebbe in Italia dei conoscenti, che possano sostenerlo, né troverebbe in Italia un lavoro che gli avrebbe dato un adeguato reddito per finanziarsi un alloggio dignitoso e le condizioni elementari di sopravvivenza».
Da tutto ciò il ricorso dei due richiedenti asilo e il dispositivo emesso dall’Alta Corte: «Le domande di asilo presentate dagli attori non possono essere respinte come inammissibili, poiché nel caso venissero rimpatriati in Italia, correrebbero il serio rischio di esser sottoposti a trattamenti inumani e degradanti. I ricorrenti in Italia si troverebbero in una situazione di estremo bisogno materiale, indipendentemente dalle loro volontà e dalle loro decisioni personali, in quanto per un periodo prolungato non troverebbero alloggio e lavoro. Entrambi i ricorrenti in caso di rientro in Italia non avrebbero accesso a una struttura di accoglienza e alle misure di sostentamento collegate».
Tutto dipende in realtà dal Decreto Salvini del 2018 che limitava fortemente i diritti dei titolari di protezione internazionale. Sebbene nel 2020 sia stata in parte modificato, la parte riguardante la decadenza dell’alloggio in un centro di accoglienza rimane valida. Lo dimostra il fatto che negli ultimi lo stato italiano abbia applicato tale norme vessatorie in almeno 100mila casi. Ci si trova dunque di fronte al paradosso che chi non presenta particolari condizioni di vulnerabilità, come famiglie con figli o malati, non ha diritto all’assistenza alloggiativa dello stato se non in maniera estremamente temporanea. Anche per quanto riguarda le case popolari la situazione è estremamente difficile per i titolari di asilo in quanto la partecipazione ai bandi è possibile solo dopo un soggiorno sul territorio italiano di diversi anni. Tutte condizioni che i rifugiati difficilmente riescono a soddisfare.