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«Io non seguo le stupidaggini che dice Amnesty international né il responsabile dei diritti umani europeo, ancora devono trovare i manganelli elettrici che avremmo utilizzato negli hotspot e ancora mi devono dare la prova dei respingimenti di migranti in Libia da parte dell’Italia. Stiamo discutendo di un paese che sta cercando di ritrovare una sua stabilità, di un governo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Se poi mettiamo in discussione una istituzione riconosciuta dalle Nazioni unite, il discorso è diverso». Per il capo di gabinetto del Ministero dell’Interno dunque, le denunce della maggiore organizzazione per i diritti umani e anche i richiami di istituzioni europee sono derubricate a sciocchezze. Affermazioni forti pronunciate durante la presentazione, ieri a Roma, del Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017. Ancora i migranti dunque a segnare polemiche e scontri. Lo stato dei diritti umani per i migranti in Libia e il ruolo svolto dall’Italia sono tornati prepotentemente al centro del dibattito. Le inchieste giornalistiche, la ripresa delle partenze e le recenti morti in mare hanno scoperchiato di la strategia Minniti per diminuire gli arrivi e affidare il lavoro alla Guardia costiera libica. Ma nonostante i media non si occupino più, come questa estate, della situazione, qualcosa non va. Per la Caritas «l’urgenza del contenimento dei flussi, non può indurre a soluzioni che si muovono su un terreno pericoloso sul fronte dei diritti umani. Lo stesso commissario dei Diritti umani del Consiglio d’Europa, lo scorso 28 settembre, chiedendo chiarimenti sull’accordo con la Libia ha scritto che: consegnare individui alle autorità libiche o ad altri gruppi in Libia li espone a un rischio reale di tortura o di trattamenti inumani e degradanti o punizioni. Il fatto che queste azioni siano portate avanti in acque territoriali libiche non esime l’Italia dai suoi doveri stabilità dalla Convenzione». Vere e proprie accuse supportate ormai anche da prove circostanziate raccolte sul campo, ma da questo lato il Ministero dell’Interno non sembra voler ammettere nessuna responsabilità, per questo Morcone ha replicato con forza: «l’Italia non ha mai rispedito nessuno in Libia, se il commissario ai diritti umani dice questo, dice il falso. Noi abbiamo solo consentito che la Guardia costiera libica salvasse le persone e le riportasse in Libia, ma lo ha fatto la Guardia costiera libica, non lo hanno fatto le navi italiane. Molto spesso questo tema è usato in modo strumentale rispetto al ruolo che l’Italia ha svolto e svolge rispetto ad altri paesi europei. L’Italia dal 2014 ha accolto numeri sempre più elevati di persone che cercavano il riconoscimento di un diritto – ha affermato Morcone -, questo ha portato ad avere oggi in accoglienza 200 mila persone e a porci il problema di quanto saremmo stati in grado di garantire effettivamente a queste persone». La tesi del rappresentante del Ministero è che nessuno si era mai posta la domanda di che condizioni vivessero i migranti in Libia, tutto si “riduceva” agli sbarchi e ai salvataggi delle ong. Ora proprio grazie all’impegno dell’Italia ci sarebbe un coinvolgimento di organismi internazionali come Unhcr e Oim per organizzare strutture di accoglienza dignitose ed efficienti proprio sul suolo libico.Al momento però di questo lavoro non si riscontra molta traccia, anche perché la Libia è un paese in guerra, gli scontri tra milizie che detengono proprio il commercio di esseri umani è virulento. Mettere mani sul denaro che proprio l’Italia avrebbe dato a diversi gruppi per frenare le partenze, è un bottino troppo ricco. L’insicurezza che si è generata non consente un intervento massiccio sui centri di detenzione moltissimi dei quali sono sconosciuti ed illegali. C’è poi il tema dei respingimenti che l’Italia addossa completamente alla Guardia costiera libica declinando ogni responsabilità. Il caso drammatico avvenuto la scorsa settimana in acque internazionali, quando nel corso di un salvataggio della Sea-Watch 3, l’intervento brutale di una motovedetta libica ha causato la morte di cinque persone tra cui un neonato, ha riportato alla luce quelle che potrebbero essere le responsabilità italiane. Chi ha fornito mezzi navali? Chi ha addestrato i libici? Chi caldeggia l’esternalizzazione nel controllo delle frontiere?Domande retoriche alle quali ha risposto in maniera significativa sempre Morcone. Queste le parole raccolte dalla giornalista Eleonora Camilli di Redattore Sociale. Ha detto i Capo di gabinetto del Viminale: «Noi non crediamo né a Sea Watch né alla Guardia costiera libica, ma non dobbiamo neanche stabilire aprioristicamente chi sono i buoni e chi sono i cattivi, perché c’è molto da discutere su chi oggi siano i buoni e chi siano i cattivi».