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L’Italia continua ad essere un Paese profondamente diviso, in cui si continua a negare legittimazione all’avversario politico e non si rinunzia ad usare contro di lui il risultato delle indagini» giudiziarie, «a prescindere dal loro esito finale», con un sistema processuale che «sembra fatto apposta per alimentare il conflitto».
Lo afferma Giuseppe Pignatone, procuratore capo di Roma, in un’intervista al Corriere della Sera. Tra due giorni Pignatone lascerà, dopo 45 anni di carriera, la magistratura per andare in pensione. Parlando del contrasto tra magistratura e politica, il procuratore capo di Roma sottolinea che «se dura da decenni, seppure in forme diverse, si deve ritenere che ci siano ragioni strutturali, al di là delle scelte o delle colpe di alcuni protagonisti che pure esistono». C’è «la posizione costituzionale della magistratura, indipendente dagli altri poteri e dalle loro esigenze, e c’è la tendenza, diffusa in tutto l’Occidente, ad ampliare il ruolo dei giudici, affidando loro al soluzione di problemi di natura istituzionale, economica o addirittura etica che la politica non sa o non vuole risolvere».
E questo spiega anche il divampare di polemiche ad ogni avviso di garanzia, arresto o sentenza, proprio perché il sistema processuale italiano «sembra fatto apposta per alimentare il conflitto».
La stessa scelta garantista di avere tre gradi di giudizio finisce con l’avere «un costo inevitabile in termini di possibile contrasto tra le successive decisioni e di durata dei procedimenti, aggravata poi dall’incredibile carenza di risorse», mentre per contro - «la tutela del diritto di difesa impone la discovery, e quindi la conoscenza, degli atti processuali anche in fasi iniziali delle indagini». A proposito poi della tesi secondo cui pure i magistrati devono avere attenzione agli “equilibri istituzionali”, il procuratore sostiene che tutte le istituzioni e i loro rappresentanti meritano rispetto, «così come lo chiediamo noi magistrati. Per questo vanno evitati l’esasperazione dei contrasti e ciò che serve solo a produrre discredito, cercando invece di collaborare, come ad esempio è avvenuto nel caso Regeni».