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L'ex procuratore generale presso la Corte di Cassazione Giovanni Salvi
Le dichiarazioni di Piero Amara, ex legale esterno dell’Eni, sulla presunta Loggia Ungheria erano «chiaramente di provenienza illecita» e «non poteva esserne fatto alcun uso formale» al Csm. Tant’è che l’atteggiamento di Piercamillo Davigo avrebbe potuto essere «punito» esercitando l'azione disciplinare. A dirlo ieri in aula a Brescia è stato l’ex procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, sentito come teste del processo a carico dell’ex consigliere del Csm Davigo, imputato per rivelazione del segreto d'ufficio. Quelle dichiarazioni, che «non erano nemmeno verbali ma fogli di carta estratti da un computer contenenti rivelazioni importantissime», ha sottolineato Salvi, erano state consegnate a Davigo dal pm milanese Paolo Storari, che si era rivolto a lui per denunciare il presunto immobilismo della procura di Milano sulle indagini da avviare per accertare quanto detto da Amara. E una volta ricevuti quei documenti, Davigo li mostrò a diversi consiglieri del Csm, alle sue segretarie e all’allora presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, sottolineando la presenza tra i presunti affiliati alla loggia di Sebastiano Ardita (parte civile nel processo) e Marco Mancinetti, all’epoca consiglieri del Csm.
Davigo ha sempre dichiarato che la rottura dei rapporti con Ardita era motivata, tra le altre cose, proprio dalle accuse di Amara. Una versione che cozza, secondo il legale di Ardita, Fabio Repici, con lo stesso comportamento tenuto da Davigo rispetto ad altri presunti affiliati alla loggia. In aula, ieri, c’era infatti anche l’ex giudice del Consiglio di Stato Sergio Santoro, indicato da Amara tra i componenti di “Ungheria”. Persona con la quale Davigo si sarebbe trovato a cena almeno due volte, una a fine 2019 e una tra il 9 e il 10 settembre 2020 (data, quest’ultima sulla quale Santoro non era sicuro), quando l’ex consigliere del Csm era già in possesso da almeno cinque mesi dei verbali di Amara. «Da lui non ha preso le distanze», ha dichiarato Repici. A quelle cene, nelle quali si discuteva dell’innalzamento dell’età pensionabile dei magistrati, c’era anche un altro magistrato di Palazzo Spada, Giuseppe Severini (che verrà sentito il 9 maggio), allora presidente della V Sezione del Consiglio di Stato, la stessa davanti alla quale Davigo aveva impugnato la sentenza del Tar che stabiliva il difetto di giurisdizione sul ricorso relativo all’esclusione di Davigo dal Csm. Ma Davigo ha smentito tutto: «Era sicuramente dopo che Santoro era stato archiviato» per corruzione giudiziaria al Consiglio di Stato «e prima di sapere della Loggia Ungheria - ha detto Davigo rilasciando dichiarazioni spontanee - altrimenti non sarei mai andato a cena come ho fatto nei successivi inviti».
La versione dell’ex procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi
L’ex pg non avrebbe mai saputo nulla dei verbali e della loro circolazione all’interno del Csm, scoprendolo solo una volta partiti gli accertamenti della procura di Roma, che stava indagando sull’ex segretaria di Davigo Marcella Contrafatto. «Se lo avessi saputo avrei informato il procuratore di Milano», ha dichiarato, raccontando di aver incontrato Davigo subito dopo il primo lockdown nel 2020 all'interno di un cortile del Csm. Davigo gli apparve preoccupato spiegando che «a suo parere l'indagine languiva e non vi erano iniziative necessarie che sembravano opportune. Io ascoltai con molta preoccupazione sia per la gravità dei fatti e sia perché le accuse venivano da Amara». Ciò perché il nome dell’ex legale di Eni era ben noto nel mondo della magistratura. E Salvi dichiarò subito di avere dubbi sulle accuse rivolte ad Ardita, che secondo il racconto del “pentito” sarebbe stato introdotto alla loggia dal magistrato Giovanni Tinebra.
L’ex pg, infatti, era consapevole dei pessimi rapporti tra i due, una precisazione che avrebbe dovuto chiarire le idee a Davigo, che si era rivolto anche al consigliere del Csm Giuseppe Cascini per avere informazioni sull’attendibilità di Amara. «Il nome Storari non è mai comparso», ha aggiunto Salvi, che di fronte alla preoccupazione di Davigo rispose laconicamente: «Farò quello che devo fare». Ovvero parlare - ma solo informalmente - con l'allora procuratore Greco. Secondo l’ex pg si trattava di «una questione dirompente e le indagini andavano fatte». Ma l’allora procuratore di Milano gli rispose «che non era vero ci fossero stati ritardi».
Le interlocuzioni furono due: una telefonica, a fine maggio 2020, e una di persona, il 16 giugno a Roma. Quindi dopo le prime iscrizioni sul registro degli indagati - avvenute a inizio maggio -, a smentita del fatto che fosse stato l’intervento di Salvi a smuovere le acque. «Greco - ha spiegato l’ex pg - disse che il Covid aveva interrotto la possibilità di fare certe attività, ma altre invece erano state fatte. Il problema che riguardava le iscrizioni era dovuto da un lato perché le dichiarazioni di Amara erano state fatte in un altro procedimento ( quello sul falso complotto Eni, ndr) » e «andavano fatte delle valutazioni rispetto ai soli elementi davvero indizianti», dall'altro «per una questione di competenza territoriale. Mi garantì che la situazione era sotto controllo e che avevano già informato Perugia. Mi diede la sensazione di una persona che era sul pezzo».
Sulle interlocuzioni tra Salvi e Greco la procura di Brescia avrebbe voluto vederci chiaro, ma entrambi i magistrati avevano perso il cellulare. Sul punto Salvi ha chiarito che lo smarrimento del cellulare risalirebbe al 10 aprile del 2021, come dimostrato dalla denuncia sporta dallo stesso. «Alcuni giornali hanno fatto dietrologia e hanno messo in dubbio la mia onestà. Ci hanno definito come due malavitosi che fanno sparire i telefonini», ha sottolineato.
Le accuse di Greco a Storari
A parlare è stato anche l’ex procuratore Greco, che ha sparato a zero contro Storari. «In quale posto del cervello si è convinto che non avrei mai fatto le iscrizioni nel registro degli indagati? È smentito lui stesso dai fatti: il 24 aprile fa una delega alla polizia giudiziaria per identificare gli “Ungheresi”», ha dichiarato l’ex magistrato. «Se aveva tutta questa ansia da iscrizione come mai si è deciso solo il 24 aprile, quella è un'attività del pm di base - ha evidenziato -. La realtà è che quell'anno Storari ha cominciato a vivere male perché sapeva di aver fatto una cosa che non doveva fare ( consegnare i verbali a Davigo, ndr) e ha avuto un anno di tempo per darsi una giustificazione».
La consegna dei verbali lo avrebbe lasciato «ammutolito, non me lo aspettavo. Greco ha chiarito inoltre che Amara era il «primo avvocato dell'Eni per fatturato» e «dovevamo capire perché aveva fatto le cose che ha fatto». Proprio per tale motivo avrebbe rifiutato la richiesta di patteggiamento avanzata dal suo avvocato: «Mentre negli altri tribunali si patteggiava senza approfondire, la procura di Milano è stata l'unica che ha continuato ad indagare», ha concluso.