«Abbiamo bisogno di venir fuori da un dibattito, che ha visto la totale convergenza sulle critiche alle riforme, con un documento unitario, perché l’assenza di una deliberazione di questa assemblea attesterebbe il fallimento di questa nostra giornata. Chiedo uno sforzo di maturità a tutti» : questo l’appello accorato - possiamo dire fuori dal protocollo - lanciato domenica pomeriggio dal presidente uscente dell’Anm Giuseppe Santalucia al termine dell’assemblea straordinaria convocata contro il ddl costituzionale Nordio per la separazione delle carriere. Sono quasi le 16.30, dalle sei ore i microfoni sono accesi: una sorta di maratona oratoria per dire no nettamente alla modifica dell’assetto giudiziario, ma anche ad altre riforme come il limite delle intercettazioni a 45 giorni e i test psicoattitudinali. Quasi mille magistrati riuniti in Cassazione e altrettante deleghe. Non si vedeva così tanta gente dal congresso di Palermo di questa primavera. I volti sono soprattutto di giovani magistrati, assiepati nei loggioni dell’Aula del Palazzaccio. Prendono la parola, alternandosi con i big, la voce è spesso tremula ma i concetti sono chiari da parte di tutti.

Le toghe sentono di star vivendo «l’ora più buia», si sentono «offese» dal ministro Nordio quando «sostiene che non capiamo le leggi» ( il riferimento è alla direttiva europea sui Paesi sicuri), «siamo accusati di essere nemici della nazione – dice la vice presidente Alessandra Maddalena di Unicost - perché non collaboriamo all’attuazione delle scelte politiche del governo: parole che dovrebbero fare paura a tutti i cittadini. Ci accusano di fare politica ma di fatto ci chiedono di fare politica, chiedendoci di cooperare con il governo. Ma i magistrati hanno il compito di fare rispettare i diritti».

Per la presidente di Magistratura indipendente Loredana Micciché, non esiste una magistratura «più buona e una parte come più cattiva, una più collaterale (di cui spesso viene accusata proprio Mi, ndr) e una meno. La magistratura è unita indissolubilmente contro questa riforma» ; «un pubblico ministero autoreferenziale fuori dall’ordine giudiziario» è «un pericolo per i cittadini», ha proseguito Marco Patarnello, l’esponente di Magistratura democratica, finito alla ribalta della cronaca per la famosa email definitiva “eversiva” dalla destra, mentre il segretario di Area, Ciccio Zaccaro, ha allargato lo sguardo per dire che «si adottano norme demenziali come quelle sulla competenza collegiale del gip o del trasferimento in appello delle convalide di trattenimento che sono norme spot, ma che hanno l’effetto di scassare il funzionamento dell’ufficio».

In mattinata la relazione di Giuseppe Santalucia che, condividendo un articolo del professore Paolo Ferrua pubblicato su questo giornale, ribadisce che «il ministro non ha il potere di ipotecare il futuro e, aggiungo ora come considerazione generale, il futuro non assume obblighi di lealtà se alla buona fede non si accompagnano, nel prepararlo, avvedutezza e prudenza. Come accade in molti ordinamenti, a cui del resto guardano i sostenitori della riforma, un pubblico ministero separato, isolato dalla giurisdizione, è assai vicino, collegato all’Esecutivo.

Le nostre paure non sono fantasie, sono previsioni del tutto giustificate dalla constatazione della realtà». Nel frattempo dal Circo Massimo, la premier Giorgia Meloni dal palco di Atreju rilancia: il 2025 «sarà l’anno delle riforme», «che spaventano, ma giuste». E ancora: «Noi vogliamo liberare la magistratura dal controllo della politica, anche dal controllo delle correnti politicizzate. Una riforma fatta per i cittadini ma anche per la stragrande maggioranza dei giudici». Secca la replica proprio di Santalucia che accusa la premier di «una forma di paternalismo di cui non avvertiamo il bisogno».

Insomma, sta filando tutto liscio, grande compattezza, applausi continui, una Anm orgogliosa della rinascita dell’associazionismo, la rappresentazione viva che le toghe sono pronte alla battaglia e poi sale la tensione.

Alcuni si riuniscono in una stanza per scrivere la mozione, escono dopo un po’, Rocco Maruotti di Area si avvicina al microfono per leggerla ma all’improvviso tutto si ferma. Sembra di assistere ad una partita di calcio, quando al termine i tifosi invadono il campo. La confusione è tanta. Non si capisce cosa succede. Dalle logge i giovani magistrati cominciano a gridare «Uni – ti; Uni – ti» e tra di loro si dicono: «Sbagliato che in questo momento non ci sia unità, non è il momento di fare distinzioni al nostro interno». La distinzione è quella proposta dal gruppo CentoUno, che essendo favorevole al sorteggio per i membri del Consiglio superiore della magistratura, anzi dei due Consigli che la riforma prevede, chiedono che nella mozione finale non sia presente un rigo contro questa previsione. Alla fine l’accordo è raggiunto e segue un lunghissimo applauso. Come dice Santalucia, non ci si può permettere di uscire spaccati, indeboliti quando proprio in queste settimane il governo e la maggioranza sono galvanizzati dall’accelerazione data alla riforma della giustizia.

Ne esce una mozione che non nomina il sorteggio ma che «esprime un giudizio fortemente negativo sulla riforma costituzionale dell’ordinamento giudiziario che non è una riforma della giustizia, che non sarà né più veloce né più giusta, ma una riforma della magistratura che produrrà solo effetti negativi per i cittadini». Si deliberano una o più giornate di sciopero, l’organizzazione di una manifestazione nazionale e «l’immediata istituzione di un comitato operativo a difesa della Costituzione aperto all’avvocatura, all’università, alla società civile, indipendente da ogni ingerenza politica, anche in vista di una possibile consultazione referendaria, per far conoscere alla cittadinanza i pericoli derivanti dalla riforma».

Attenzione, non un comitato referendario come chiedevano Area e Md ma “operativo”. Il primo, per alcune correnti, avrebbe attirato accuse di politicizzazione; inoltre aggregarsi ad altri avrebbe comportato il rischio di trovarsi nello stesso gruppo con partici politici e associazioni dalla posizione non condivisibile; e allora si è optato per un “comitato operativo” in seno al quale cominciare ad immaginare una campagna referendaria.