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È quasi sconcertante la rapidità con cui Lega e M5S sono passati dall'idillio allo screzio permanente, dal matrimonio d'interesse ma felice all'incompatibilità di carattere. Non sono solo gli scontri ormai quotidiani, come quello di ieri sul ddl Pillon, a registrare la gravità della crisi. Lo è anche, e a maggior ragione, l'acredine con la quale le divisioni vengono platealmente esibite, allo scopo di accentuare ed esasperare invece che di smorzare.
In parte si tratta di campagna elettorale. Le europee sono dietro l'angolo ed era ovvio che un'alleanza momentanea tra soggetti non solo diversi ma potenzialmente alternativi mostrasse la corda nell'imminenza di una prova elettorale nazionale. Ma in ballo c'è evidentemente di più e la fiammata da campagna elettorale, prevedibile e prevista, rischia di essere non un fuoco di paglia ma l'innesco dell'incendio. Il rischio non è rappresentato dall'eventualità di un crollo elettorale dell'M5S, che potrebbe al contrario consigliare a Di Maio di fare il possibile per evitare la crisi e le conseguenti nuove elezioni politiche. La vera minaccia per la maggioranza è che la competizione portata all'estremo riveli senza possibilità di retromarcia l'inconciliabilità dei rispettivi progetti politici. Sempre che di progetti politici si possa parlare: l'elemento meno vistoso ma più corrosivo, quello che rende obsoleto e vicino al declino il quadro politico nel quale era nato meno di un anno fa il governo, è infatti proprio la confusione del Movimento quanto a visione e progettualità politica.
Il dramma, per Di Maio e compagni, non è tanto il calo di consensi in sé ma la sconfitta di un progetto politico che quel calo registra e riflette. Il Movimento di Gianroberto Casaleggio era nato con un'ambizione precisa, dichiarata, conclamata e fondativa del suo dna: arrivare al governo da solo, o nella peggiore delle ipotesi con il supporto di qualche forza politica minore e molto subalterna. Era un Movimento che non voleva e non cercava alleanze, proponendosi come alternativa non di governo ma di sistema. Quel progetto è morto. Dare per spacciato un Movimento che anche secondo i sondaggi meno favorevoli si trova comunque intorno al 20% sarebbe a dir poco azzardato. Però immaginare che possa ancora candidarsi a prendere in mano da solo, o in posizione di assoluta egemonia, il Paese lo sarebbe anche di più.
Il partito di Di Maio deve dunque dotarsi di un nuovo progetto strategico ed è un compito tra i più difficili. Per un movimento nel quale convivono, grazie alla formula magica ' né di destra né di sinistra', visioni molto distanti scegliere significa rischiare la disintegrazione. E tuttavia per i 5S scegliere fra le tre opzioni a loro disposizione è già un imperativo. Le strade percorribili sono appunto solo tre. La prima è trasformarsi in un partito alleato stabilmente della Lega, socio minoritario ma determinante, senza timone ma con grande potere, ala ' sociale' di una nuova destra. La seconda è un'alleanza strategica ma competitiva con il Pd di Zingaretti, all'interno della quale l'indicazione della leadership sarebbe affidata di elezione in elezione agli elettori, con entrambi i partiti, oggi appaiati secondo molti sondaggi, potenzialmente vincitori. La terza ipotesi è un partito lib/ lab, pronto a cambiare alleanza di volta in volta.
Nessuna di queste ipotesi è per i 5S rosea. Al contrario: sono tutte ad alto rischio. L'adesione a una coalizione di destra, oltre alla fuoriuscita di una fetta consistente di elettorato, comporterebbe il rischio di perdere la rendita di posizione garantita dall'essere determinanti per il raggiungimento della maggioranza ove la Lega, alleata con Fdi e con un soggetto di destra che probabilmente nascerà dalla lacerazione di Fi, non avesse più bisogno del supporto pentastellato. La sterzata a sinistra, che comporterebbe a propria volta la fuga di una ragguardevole porzione di elettorato, imporrebbe la rinuncia a una quantità di elementi di programma probabilmente superiore a quella pagata per il ' contratto' con la Lega. Scegliere volta per volta sarebbe per certi versi l'opzione meno pericolosa in termini di perdita di consensi ma richiederebbe un grado di perizia politica e capacità di muoversi di cui il Movimento è per ora del tutto sprovvisto e vorrebbe anche dire esporsi al rischio di finire schiacciati da un nuovo bipolarismo.
E' evidente che M5S non potrà fare questa scelta prima delle elezioni politiche e che, di conseguenza, la decisione sarà condizionata dall'esito complessivo di quelle elezioni. E' altrettanto evidente che anche per questo motivo Di Maio preferirebbe arrivare al momento della verità il più tardi possibile. Il prezzo del rinvio, però, è proseguire in una navigazione senza più orizzonte strategico e dunque senza altra rotta oltre a una competizione sempre più esacerbata con i soci di governo leghisti. In tempi di bonaccia un gioco del genere potrebbe proseguire relativamente a lungo, anche se certo non sino alla scadenza della legislatura. In tempi di crisi e recessione i tempi rischiano invece di accorciarsi drasticamente.