PHOTO
Beniamino Migliucci, già presidente dell'Unione Camere Penali italiane
Una sola e grande preoccupazione è emersa dal Comitato direttivo centrale dell’Anm che si è tenuto nel fine settimana: la separazione delle carriere, oggetto di una corposa mozione. Come è noto, in Commissione Affari Costituzionali alla Camera sono state incardinate il 2 febbraio quattro proposte di legge in materia. Relatore Nazario Pagano. La prima ad essere depositata è quella di Enrico Costa (Azione), la seconda quella di Roberto Giachetti (IV), la terza di Antonino Calderone (FI), la quarta di Jacopo Morrone (Lega). Tre di esse, tranne quella di Fi, riprendono il testo di una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare presentata nella scorsa legislatura e promossa dall’Unione delle Camere Penali.
Il 13 febbraio scade il termine per i gruppi parlamentari per indicare chi vogliono far udire sul tema. L’Ucpi annuncia una conferenza stampa forse per il 14, ma il presidente Gian Domenico Caiazza ci dice: «Abbiamo intenzione di organizzare una mobilitazione nazionale nei prossimi mesi». Nella conferenza stampa di fine anno Meloni disse: «Nei prossimi mesi lavoreremo per mettere a punto la riforma della giustizia secondo capisaldi che sono quelli storici del centrodestra, penso alla separazione delle carriere». E così sembra la direzione presa dalla via parlamentare. Mentre da via Arenula trapela che per ora le priorità sono l’efficienza degli uffici giudiziari e il conseguimento degli obiettivi del Pnrr.
Per l’Anm il quadro «desta profondo allarme: oltre alla separazione delle carriere», si «prevede l’introduzione di distinti organi di autogoverno, che peraltro non vedranno più al loro interno la prevalenza numerica dei componenti togati, voluta dalla Costituzione proprio per assicurare il giusto equilibrio tra poteri e quindi l’autonomia della Magistratura. Ancora più preoccupante la progettata abolizione dell’art. 107 comma 3 della Costituzione che, nel prevedere la distinzione dei magistrati solo per funzioni, ne rappresenta la massima garanzia di indipendenza. Una rigida separazione delle carriere porterà ad un pubblico ministero sempre più lontano dalla cultura della giurisdizione, per divenire un “avvocato dell'accusa” pericolosamente piegato ai desiderata del potere politico».
Tra l’altro, sostengono i magistrati, «è la realtà dei fatti che smentisce l’assunto secondo il quale il giudice sia “culturalmente adesivo” alla prospettiva del pm: nel 48% dei giudizi penali la sentenza è di assoluzione, nel 45% di condanna, il resto ha esito misto. Chi insiste a sostenere che la separazione è soluzione ai problemi della giustizia dimentica, evidentemente, che dal 2006 la media dei trasferimenti da una funzione all’altra è di 50 magistrati all’anno, e solo 21 nell’anno appena terminato».
Beniamino Migliucci, già presidente dell’Ucpi, sotto cui si raccolsero le firme per la pdl, così commenta: «Il grido di allarme dell’Anm significa che la politica, per la prima volta, intende discutere seriamente una riforma ineludibile. Di volta in volta, la magistratura associata si è opposta, evocando scenari apocalittici e inesistenti controindicazioni: dapprima il rischio del controllo dell’esecutivo sul pubblico ministero, poi il pericolo che questi diventasse un super poliziotto. Dato che la proposta all’esame del Parlamento non prevede nulla di questo, l’Anm ha trovato rifugio in un vecchio armamentario: il pubblico accusatore perderebbe la cultura della giurisdizione».
Per il penalista «si tratta di un mantra privo di significato quanto meno nel senso voluto dall’Anm, considerato che, come ha osservato il ministro Nordio, la cultura della giurisdizione in senso stretto è riservata al giudice, mentre quella desiderata dall’Anm prevede, significativamente, solo l’esclusione dell’avvocato che ne rimane estraneo, secondo una logica autoritaria propria dei sistemi inquisitori».
Per questo, conclude, «la riforma ispirata dalla proposta presentata dall’Ucpi assieme alla Fondazione Einaudi e ai Radicali va discussa e può essere perfettibile, ma occorre rendersi conto che nelle maggiori democrazie liberali che adottano codici accusatori le carriere sono separate per assicurare la terzietà del giudice prevista nella nostra Costituzione e che rappresenta una garanzia per tutti».