È iniziata venerdì mattina alla Camera la discussione generale del Ddl, a prima firma del senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin, sulle «modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione». Il testo, già approvato dal Senato, prevede che le intercettazioni telefoniche e ambientali «non possono avere una durata complessiva superiore a quarantacinque giorni, salvo che l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione». La modifica non riguarda i reati di mafia e terrorismo. La seduta è iniziata con l’illustrazione della relazione da parte del deputato di FI, Tommaso Calderone. Il testo non ha subìto modifiche in Commissione giustizia, rispetto a quello approvato a Palazzo Madama, benché diverse critiche siano emerse da parte dell’Anm e di alcuni giuristi, come il professor Gian Luigi Gatta, nel corso delle audizioni. Secondo Calderone, «è un importante apparato normativo perché evita che si possa, senza alcuna effettiva ragione e necessità, invadere oltremodo la sfera privata del cittadino italiano». Per l’azzurro è stato «necessario ribadire in maniera vigorosa che il limite dei 45 giorni si pone nel momento in cui non esistono gravi indizi o elementi specifici e concreti che determinano l’assoluta indispensabilità della proroga delle intercettazioni. È bene precisarlo, perché se non è emerso nulla, se non ci sono elementi specifici e concreti per continuare ad intercettare qual è la ragione tecnica e - se mi è consentito - quasi etica per continuare a intercettare? Ovviamente, non c’è». Ha poi preso la parola il collega di partito Enrico Costa, secondo cui siamo dinanzi «ad una norma di stampo liberale» che «forse non sarebbe neanche stata necessaria se la giurisprudenza, se i giudici, se i gip, che sono invisibili nel nostro sistema di indagini preliminari, inesistenti, avessero applicato le norme e avessero applicato l’articolo 267 del codice di procedura penale, che stabilisce che non si può intercettare se non ci sono degli elementi su cui queste intercettazioni si fondano». Partita poi protesta del Partito democratico e del Movimento 5 Stelle per l’assenza in Aula di esponenti del ministero della Giustizia: «Oggi non c’è nessuno del ministero della Giustizia anche perché a via Arenula non c’è più un ministero, si è trasformato nello studio degli avvocati difensori di Delmastro», ha detto il dem Andrea Casu, per il quale «è chiaro l’obiettivo del governo: colpire autonomia e indipendenza della magistratura, l’equilibrio di poteri». Ha aggiunto la deputata pentastellata Valentina D’Orso: «Perché non ci siete? Vi vergognate?». Sul merito del provvedimento per il Pd è intervenuta Rachele Scarpa: «C’è un punto che io ritengo particolarmente grave e mi riferisco alle mancate eccezioni a questa restrizione che si applica alle intercettazioni quali il reato di omicidio, di stalking, tutto ciò che afferisce al cosiddetto Codice rosso. Sono reati che restano fuori dalla possibilità di eccedere a questa restrizione che si sta imponendo». Su questo punto era intervenuto qualche giorno fa il presidente della II commissione, Ciro Maschio: «Modificare in seconda lettura alla Camera il testo di questa proposta sulle intercettazioni significherebbe dover fare una terza lettura al Senato e quindi ricominciare da capo l’iter. L’intenzione è quella di andare in Aula e approvare in via definitiva questo testo e per quanto riguarda alcuni dubbi rimasti sulla questione del Codice Rosso mi risulta che ci sia la volontà del governo e della maggioranza di ritornarci sopra in un prossimo provvedimento se non sarà in questo». Per Stefania Ascari ( M5S): «Questo è l’ennesimo provvedimento che toglie strumenti di indagine alla magistratura e pone dei serissimi problemi. In primis, un problema di coerenza con la durata delle indagini, perché non ha alcun senso stabilire che le indagini abbiano un termine di 18 mesi per i delitti o di 2 anni per alcuni delitti più gravi, come previsto, da ultimo, dalla riforma Cartabia, e poi si decida, però, che, dopo 45 giorni, a meno che tu non abbia avuto riscontri eclatanti della fondatezza dell’accusa, devi interrompere un mezzo di ricerca della prova che è fondamentale». Per il governo era presente la sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento, Matilde Siracusano, che in chiusura di discussione ha dichiarato: «Non ci fermeremo, mi dispiace, di fronte a manifestazioni plateali, di fronte a scioperi, di fronte a mezzo governo iscritto nel registro degli indagati, di fronte a sentenze politiche. Sappiate tutti che è ormai archiviato definitivamente il tempo del condizionamento, perché non ci sarà più un potere dello Stato che condizionerà il legislatore, impedendo riforme o scrivendo addirittura le leggi, questo tempo è definitivamente concluso. Tutti dobbiamo farcene una ragione, ma noi lo facciamo proprio nello spirito autentico di risolvere i problemi di questo Paese». Sono due, intanto, le questioni pregiudiziali di costituzionalità, presentate da Pd e M5S, che verranno poste ai voti nella prossima seduta del 25 febbraio.