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Lite Legnini- Woodcock? Mai stati così d’accordo. Entrambi segnalano i rischi del decreto che obbliga la polizia giudiziaria a informare le “scale gerarchiche” su notizie di reato e sviluppi delle indagini. Con toni diversi, il vicepresidente del Csm e il titolare originario dell’inchiesta Consip dicono che la fuga di notizie può venire da lì. Adesso Consiglio superiore e magistratura inquirente si preparano a stabilire un’alleanza per spingere il governo a rivedere le norme.
L’appuntamento è per il 16 e il 23 marzo, date in cui a Palazzo dei Marescialli sono previste le audizioni dei capi delle Procure. Con loro saranno sentiti anche il superprocuratore Antimafia Franco Roberti e i procuratori generali di tutte le Corti d’Appello. Le riunioni sono propedeutiche a una circolare sugli uffici inquirenti che, per Legnini, dovrebbe cercare soluzioni alle «numerose patologie», in particolare rispetto alla tutela del segreto d’indagine. Ma visto che dai pm di tutta Italia sale il grido d’allarme per gli effetti sulle norme che di fatto impongono alla polizia giudiziara la violazione del segreto, è chiaro che la richiesta dei magistrati sarà innanzitutto una: il Csm si unisca a noi nell’invitare il governo a rivedere quelle norme.
Richiesta destinata a cadere nel vuoto? Non è detto. L’esecutivo su altri versanti ha mostrato di tenere in gran conto il parere della magistratura inquirente impegnata “sul campo”. Lo ha fatto, di recente, in vista dell’emanazione delle nuove regole sulle intercettazioni. Prima di arrivare allo schema inserito nel ddl penale, il capo di Gabinetto del guardasigilli Andrea Orlando, Giovanni Melillo, ha incontrato più volte una delegazione di procuratori della Repubblica di cui hanno fatto parte tra gli altri Armando Spataro ( Torino) e Giuseppe Pignatone ( Roma). E molta attenzione aveva avuto, il ministro della Giustizia, per le circolari diffuse dai capi di una ventina di uffici inquirenti per garantire la riservatezza delle intercetta- zioni. L’esecutivo potrebbe dunque ascoltare i pm e correggere il famigerato provvedimento: per la precisione il decreto legislativo 167 dell’agosto 2016 che, nascosto al quinto comma dell’articolo 18, stabilisce l’obbligo per i vertici di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza di dare ordine affinché «i responsabili di ciascun presidio trasmettano alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria». Non solo per l’avvio ma anche per «tutto ciò che rappresenta uno sviluppo» e «fino alla conclusione dell’indagine preliminare».
Alla fine il governo dovrebbe trovare una linea di mediazione. Altrimenti ogni pretesa di maggiore riservatezza sulle indagini rischia di sbattere contro obiezioni analoghe a quelle di Woodcock: «Solo un cretino potrebbe bruciar- si l’indagine con la pubblicazione di atti altrimenti inconoscibili all’indagato: il problema è quel decreto». Il procuratore di Torino Armando Spataro ha già messo per iscritto il problema in una direttiva rivolta ai propri sostituti e inviata per conoscenza anche al ministero della Giustizia. Nella disposizione Spataro invita i suoi pm a «comunicare motivatamente i casi in cui ritengano di dover segnalare» alla pg «il rispetto assoluto del segreto» anche nei confronti delle «rispettive ‘ scale gerarchiche’». In tutti quei casi, lo stesso Procuratore di Torino ha previsto di invitare la polizia giudiziaria a «comunicare formalmente» di «non poter aderire alla richiesta» perché vincolata dal decreto sulle informative. In tal modo lo stesso procuratore potrebbe sollevare «conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato» davanti alla Corte costituzionale.
Un’estrema ratio. Che il procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo, in una riunione di inizio febbraio, ha condiviso con i capi di tutte le altre Procure ordinarie del distretto di Torino, che hanno “replicato” la direttiva Spataro. Quest’ultimo e lo stesso Saluzzo hanno trasmesso il testo anche alla Procura generale della Cassazione e al Csm. Non a caso nell’intervento in plenum di mercoledì scorso Legnini ha ricordato che Saluzzo e Spataro hanno espresso «osservazioni critiche» e sollecitato «l’apertura di una pratica». Detto fatto: lo stesso vicepresidente del Csm ha investito sul punto la Sesta e la Settima commissione. Quando giovedì 16 i capi degli uffici, incontreranno l’organo di autogoverno, il lavoro delle commissioni non sarà ancora avviato. Ma l’esito pare segnato: far arrivare, e in fretta, l’invito all’esecutivo affinché corregga il decreto sull’obbligo di informare le scale gerarchiche ( e quindi, potenzialmente, lo stesso governo, come potrebbe essere tranquillamente avvenuto, norme alla mano, nel caso Consip). La modifica potrebbe far decadere l’obbligo nei casi in cui il pm lo chieda. In modo da non violare il principio, indirettamente sancito dalla Costituzione, secondo cui coordinare le indagini è compito che spetta ai magistrati, non ai corpi di polizia. Basterà a convincere l’esecutivo? Si vedrà. Se non bastasse, rischia davvero di doverci pensare la Consulta.