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Davanti al plenum dell’avvocatura istituzionale Albano evoca la possibile rivoluzione nell’immagine diffusa dello straniero annunciata dalla recente legge sui minori stranieri non accompagnati, la 47 del 2017. Quel provvedimento ha introdotto appunto l’istituto della tutela volontaria.
E uno degli obiettivi del protocollo stipulato ieri tra Autorità garante e Consiglio nazionale forense è proprio il comune impegno di sensibilizzazione sulle prospettive aperte dalla nuova normativa. L’intesa, spiega Mascherin, «suggella la vicinanza culturale che la dottoressa Albano manifesta da tempo nei nostri confronti, con la presenza alle più importanti occasioni istituzionali e di confronto promosse dal Cnf».
È un accordo opportuno, tempestivo e utilissimo, confermano entrambi. Prima della legge 47 la tutela era in genere affidata a una figura istituzionale. Il più delle volte il sindaco o l’assessore alle Politiche sociali del Comune in cui il minore straniero arrivava. «Ma con i numeri di fronte ai quali ci troviamo, questo non è più possibile», dice la Garante per l’infanzia. Le cifre non hanno bisogno di commenti: «Solo nel 2016 i minori stranieri non accompagnati arrivati nel nostro Paese sono stati circa 26mila. Sono adolescenti, per lo più maschi, che provengono in prevalenza dall’Africa, soprattutto da Nigeria, Egitto, Gambia, Guinea», continua Albano.
«Nei Paesi d’origine hanno le loro famiglie, quindi in genere non sono adottabili, ma qui sono soli». Ed era impensabile continuare ad affidare a un singolo assessore la tutela di migliaia di questi giovanissimi. «Si deve provvedere alla loro assistenza sanitaria, al loro percorso formativo, a seguirli nella presentazione delle domande di protezione internazionale. Servono appunto cittadini volontari, la legge dice questo». Ma, fa notare la Garante, vanno selezionati e formati.
«I garanti regionali predispongono i bandi, lo fa la nostra Autorità per quelle circostanze in cui la figura regionale manca. Servono requisiti minimi, indicati dalle nostre linee guida, ma poi è necessario preparare anche dal punto di vista tecnico giuridico queste persone».
Gli avvocati, magari di un’età tale da non essere più risucchiati a tempo pieno nell’attività di studio, sarebbero una tipologia ideale. «Certo. Ma confidiamo anche nella loro capacità di sensibilizzazione sull’importanza di questa scelta, affinché si moltipilchino le disponibilità alla tutela volontaria. Attraverso gli ordini e i loro ambiti di competenza», dice Albano, «gli avvocati possono dare diffusione capillare al messaggio».
Lo ius soli non c’entra. «Riguarda minori figli di stranieri radicati in Italia. Come Autorità garante per l’infanzia ho inviato all’ufficio Affari generali del Senato una nota ufficiale in cui ricordo l’importanza della legge sullo ius soli. Ma qui parliamo di minori soli a cui si deve assicurare l’assistenza più immediata. E serve una cittadinanza attiva, una genitorialità sociale, così teniamo a definirla».
Un italiano viene chiamato a occuparsi personalmente di un singolo minore straniero che non ha altri riferimenti: un antidoto alla diffidenza verso i migranti? «Un antidoto, sì, in quanto sollecitazione dell’orgoglio».
E in effetti nel tweet della campagna attivata dal Garante si legge: «Nella tua vita ci sono già tante cose di cui andare fiero. Diventare tutore volontario di un minore straniero non accompagnato è un motivo di orgoglio in più».
Un capovolgimento di prospettiva. Dalla moltitudine indistinta di migranti che sollecita la paura, alla singola persona, «al più vulnerabile tra i vulnerabili», che rivolge a ciascun cittadino la propria richiesta di assistenza. «E qui entra in gioco il ruolo sociale dell’avvocatura. Con questo protocollo lo valorizziamo. Non solo per la tutela volontaria», ricorda Albano, «ma qui certo, Autorità Garante e avvocati si trovano alleati nel fronteggiare una sfida impegnativa e appassionante».