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Processi flop sul Decreto Cutro
Il decreto Cutro? Un flop. Non solo per i trattenimenti, annullati perché ritenuti illegittimi, ma anche in Tribunale, dove finora la specifica aggravante derivante dalla morte della persona trafficata non è stata mai applicata a livello sanzionatorio. L’ultimo caso come riporta Il Reggino - è quello di Locri, dove un processo celebrato a seguito di uno sbarco - nel quale ha perso la vita un giovane pakistano, Ashfaq Husnain, poco più che ventenne - si è concluso con due condanne e cinque assoluzioni.
Condanne che, però, si fondano sulla derubricazione dell’articolo 12 bis introdotto dal decreto Cutro con l’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione, non essendo emersa la prova certa che il decesso del giovane sia da ricondurre alle condizioni della nave approdata sulle coste calabresi nel marzo 2023. Si tratta del primo processo incardinato con la nuova norma: il procedimento è infatti partito il 24 marzo 2023, pochi giorni dopo l’entrata in vigore della legge nata dalla tragedia di Cutro.
La Corte d’Assise di Locri ha disposto la condanna a 5 anni e 8 mesi ciascuno per due imputati, mentre sono stati assolti con formula piena gli altri cinque migranti finiti a processo. La procura aveva invece chiesto la condanna a 20 anni e 1 mese ciascuno a carico di cinque imputati e l’assoluzione per altri due.
In aula, gli avvocati Roberto Germoleo, Carmine Murdaca, Giancarlo Liberati, Carlo Bolognino, Nicola Veneziano e Olesya Dzedzinska hanno sottolineato che nonostante l’introduzione della cornice edittale specifica, che non aggiunge nuovi reati punibili, il trattamento sanzionatorio previsto sembra eccessivamente rigido, superando la discrezionalità legislativa.
La pena massima di 30 anni per la morte non volontaria si avvicina, infatti, a quelle previste per reati gravi come il sequestro di persona o la tortura, situazioni in cui la morte è una conseguenza non voluta. In confronto ad altri reati con pene dure, dunque, l’articolo 12 bis rientra tra quelli che puniscono eventi dannosi non intenzionali, ma con una severità che non trova corrispondenze nelle altre categorie di reati. «Questo decreto - spiega l’avvocato Bolognino al Dubbio - prevede per una fattispecie fondamentalmente colposa fino a 30 anni di carcere, al pari dei reati più efferati previsti dal nostro ordinamento giuridico, come l’associazione mafiosa, il narcotraffico internazionale, il sequestro di persona a scopo estorsivo eccetera.
Emerge, dunque, un’incongruenza di sistema, già evidenziata in processi celebrati a Reggio Calabria, Messina e presto, sicuramente, anche a Palermo. In tutti questi casi, com’è successo a Locri, i giudici hanno derubricato il reato, per collocare il processo nella realtà dei fatti. Su quei barconi non viaggiano certo i membri delle organizzazioni dedite al traffico dei migranti - ha aggiunto -, ma poveri sventurati». Insomma, la repressione si è rivelata uno slogan sostanzialmente vuoto, dal momento che l’aumento delle pene non è stato accompagnato da «un ragionamento di carattere logico- giuridico che si incastri in un sistema processual-penalistico». L’aspetto doloso del reato, in questo caso, è connesso al favorire l’immigrazione clandestina, ma non a procurare la morte dell’eventuale vittima della traversata.
Una fattispecie di dolo mista a colpa già enucleata all’interno del nostro sistema, con l’articolo 586 - morte come conseguenza di altro reato - e rispetto alla quale, dunque, esisteva già una tutela giuridica. «La riforma ha avuto un contenuto propagandistico, se vogliamo, creando nell’immaginario collettivo l’idea di un’azione incisiva del governo contro un fenomeno problematico come l’immigrazione clandestina ha concluso Bolognino -. Questi processi sono, però, la dimostrazione tangibile che da un punto di vista tecnico c’è un chiaro problema, del quale presto o tardi dovrà occuparsi la Corte costituzionale».