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«E- le- zio- ni, e- le- zio- ni...». Allo stile sobrio invocato dal presidente del Consiglio i leghisti rispondono con cori da stadio ritmati con le mani sui banchi. Nel giorno in cui Giuseppe Conte chiede la fiducia ai deputati, Montecitorio sembra tornato al 1993. Nessun cappio sventolato, certo, ma il discorso d’insediamente subisce continue e rumorose interruzioni. Il fuori ( dove Meloni e Salvini arringano la piazza) e il dentro al Palazzo a tratti si mischiano e aumentano il carico di lavoro del Presidente Roberto Fico.
Conte parla per un’ora e mezza e batte il record, sempre suo, del discorso più lungo della storia repubblicana, elencando i 29 punti dell’accordo programmatico tra le due maggiori forze parlamentari. Dopo aver ringraziato il capo dello Stato, «che anche in queste ultime fasi determinanti per la vita della nostra Repubblica ha guidato il Paese con equilibrio e saggezza ed è stato riferimento imprescindibile per tutti», il numero uno di Palazzo Chigi parla di «una nuova fase riformatrice» e di un programma «che è una sintesi per l’Italia del futuro». Poi Conte si rivolge agli eletti prendendo in prestito le parole di Giuseppe Saragat: «Dietro a voi sono le sofferenze di milioni di italiani, dinanzi a voi le speranze di tutta la Nazione», dice. «Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano».
Le prime sfide della nuova maggioranza? La manovra, senz’altro. «Dovrà indirizzare il Paese verso una solida prospettiva di crescita e di sviluppo sostenibile, pur in un quadro macroeconomico internazionale caratterizzato da profonda incertezza», spiega Conte. Ma la priorità è scongiurare l'aumento dell'Iva e avviare un alleggerimento del cuneo fiscale. Tutto a vantaggio «dei lavoratori», precisa, mentre i parlamentari di Lega e Fratelli d’Italia continuano a urlare «poltrona!» all’indirizzo del premier.
Dai banchi del Pd partono applausi a scena aperta.
Chi non si scompone, per ragioni diverse, sono Maria Elena Boschi e Marco Minniti. Qualche imbarazzo sui volti dei dem traspare solo quando l’ex rivale scandisce il programma del futuro sulle trivellazioni: zero. Anche i deputati di Leu battono le mani per zittire le proteste dei salviniani. Stefano Fassina non sembra altrettanto di buon umore come i compagni di partito, ascolta il discorso di Conte con disincanto. Sulfronte grillino, quasi tutto rispondono «presente» alla prova dell’applausometro. Restano a parlottare per tutto, separati da uno scranno vuoto, Carla Ruocco e Carlo Sibilia: quotata in entrata tra i posti di sottogoverno la prima, e in uscita il secondo.
Giuseppe Conte continua a esporre il programma del suo secondo mandato nonostante le continue interruzioni: ricostruzione nelle zone terremotate e modifica della normativa in materia; abbattimento del divario tra Nord e Sud; riforma fiscale; sostegno alle famiglie; riforma del Csm; contrattazione per con l’Europa per maggiore flessibilità economica; autonomie differenziate nel rispetto della Costituzione.
Il presidente del Consiglio rivendica la strategia non «isolazionista» messa in campo, durante il suo primo mandato, con la nomina di Ursula von der Leyen a capo della Commissione. Si guadagna un «venduto!» dai sovranisti.
Ma pronuncia ugualmente le parole che la sinistra si aspetta sul superamento dei decreti sicurezza, a partire dalle osservazioni mosse dal Presidente della Repubblica. Bisogna «depurare» quei decreti dalle «integrazioni» imposte dalla Lega «che ne hanno compromesso l’equilibrio complessivo.
Poi tocca compiacere l’azionista di maggioranza del suo governo, il Movimento 5 Stelle, con la promessa della «riduzione del numero dei parlamentari a partire dalla prima seduta utile». Le opposizioni protestano di nuovo. Qualcuno urla «Bibbiano», e con gesti eloquenti delle mani indirizzati verso i banchi del Pd sfottono i colleghi sulla paura delle urne.
Conte prosegue e difende le sue ministre Bellanova e De Micheli finite al centro di «ignobili attacchi». Infine, in stile mattarelliano, un ringraziamento alla stampa per il lavoro fatto nei giorni della crisi e un'ultima citazione per omaggiare le forze politiche che «hanno dato prova di coraggio. Hanno messo da parte i “pre- giudizi”, che come riconosceva Hanna Arendt, esistono in politica, sono in parte ineliminabili e sono un pezzo del nostro passato. Oggi hanno accettato di affidarsi ai giudizi e si impegnano a sollecitare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni». In serata, incassa la prima fiducia. Oggi tocca al Senato