Dopo il blitz della procura di Reggio Emilia sui presunti affidi illeciti, i minori in affido sono diminuiti, ma sono aumentati i minori in comunità. Con un aumento vertiginoso dei costi, quasi raddoppiati dopo l’inchiesta giudiziaria sul sistema di tutela in Val d’Enza. A testimoniarlo sono i documenti depositati venerdì dalla difesa di Federica Anghinolfi (gli avvocati Oliviero Mazza e Rossella Ognibene), ex responsabile dei Servizi sociali della Val d’Enza, forniti ai legali dal Comune di Reggio Emilia.

Dal 2019 al 2021, dunque, il costo degli affidi in comunità è letteralmente esploso: mentre nel 2019, anno del blitz, il costo era di poco più di due milioni e mezzo, nel 2021 è schizzato a quattro milioni e centomila euro circa. E per quanto riguarda le contestazioni mosse in questo processo, la somma sotto la lente della procura si aggira attorno ai 200mila euro. «Per fare un’indagine di questo genere, neanche su un ipotetico indebito guadagno - ha commentato Mazza -, ma su un’ipotetica gestione che la procura considera non perfettamente coerente con le regole sugli appalti, ma giustificata dalla coprogettazione, la pubblica amministrazione – per restare ai numeri del solo Comune di Reggio Emilia - si è ritrovata a pagare quasi due milioni di euro in più. Ma il problema non è solo economico - ha evidenziato -, riguarda anche il destino di questi minori, perché un conto è trovare accoglienza in una famiglia e un conto è finire in una comunità».

In aula, oggi, è stato anche il turno di Renato Ariatti, consulente di parte civile dei genitori di N., uno dei minori coinvolti, che ha relazionato sui presunti danni esistenziali provocati ai due genitori dall’affido del bambino. Ariatti, rispondendo alle domande delle difese, ha spiegato che la separazione dal figlio minore ha causato ai genitori uno stato ansioso-depressivo con incidenze dirette anche sul contesto lavorativo dei due. Tuttavia, il teste non ha saputo rispondere alle domande delle difese circa il lavoro svolto dai due genitori e il contesto sociale degli stessi. Interrogato da Mazza, il teste non ha saputo stabilire se il presunto stress sia stato provocato dall’allontanamento del figlio oppure dalle ragioni per le quali il Tribunale dei minori di Bologna aveva disposto l’affidamento, ovvero i racconti, fatti dal bambino, circa i presunti abusi subiti in famiglia.

Ariatti ha però dichiarato di non conoscere le ragioni dell’intervento dei Servizi, ed è altresì emerso – in sede di controesame - che ha scritto di aver consultato una Consulenza tecnica di ufficio quando invece si trattava di una consulenza tecnica di parte del pubblico ministero, equivoco abbastanza evidente. Lo psicologo ha diagnosticato un disturbo dell’adattamento nel 2021, riferendolo a un evento traumatico - l’allontanamento del figlio - risalente al 2016 e all’epoca della perizia già “risolto”. L’avvocato Luca Bauccio, difensore della psicoterapeuta Nadia Bolognini insieme a Francesca Guazzi, ha però evidenziato che questo tipo di disturbo insorge non oltre i tre mesi successivi all’evento, come stabilito dal Dsm-5. «Come ha fatto a sapere che quella malattia è insorta nei primi tre mesi?», ha dunque chiesto Bauccio.

Ariatti non ha saputo rispondere, così come non ha saputo dire in maniera precisa quanti siano stati e quanto siano durati gli incontri con i genitori, quantificandoli in due incontri da due ore circa. Inoltre, non ha somministrato alcun test, nonostante siano prescritte dalle linee guida per l’attività consulenziale. Ariatti ha citato Ugo Fornari, padre della psichiatria forense, attribuendo a lui l’affermazione secondo la quale ciò sarebbe opzionale. Ma Bauccio lo ha smentito, citando proprio il trattato di Fornari, nel quale i test non vengono indicati come facoltativi, ma ancillari e, dunque, semplicemente non sufficienti da soli. Ariatti ha dunque ammesso di non essersi allineato a tale metodologia. Bauccio ha citato in aula un documento redatto dalla psicologa che aveva in carico i due genitori, richiamato dalla stessa consulenza di Ariatti, e che nel 2021 aveva certificato il raggiungimento di «un discreto equilibrio psicologico» dei due adulti durante l’affido.

«Se la malattia insorge nei primi tre mesi e ha un decorso di sei mesi, ma lei sostiene che si è cronicizzata, come concilia l’affermazione secondo cui una persona ha un discreto equilibrio psicologico con la diagnosi di disturbo di adattamento che per forza dovrebbe essere coeva alla diagnosi della psicologa?», ha chiesto Bauccio. Ariatti si è clamorosamente dissociato dalla conclusione della psicologa - che aveva incontrato per ben 25 volte i genitori -, pur avendola richiamata nella sua consulenza. Inoltre, il teste, nelle sue conclusioni, ha parlato di «affidamento illegittimo», riferendosi a Bolognini come una «specie di psicoterapeuta». Il teste ha però sostenuto che quelle frasi non erano le sue, bensì dei genitori, pur non essendo le stesse virgolettate. «Non sono mie valutazioni, non posso entrare nel merito e non do giudizi sulla psicoterapia di Bolognini né sulla legittimità o meno dell’affidamento», ha affermato, confermando di non aver letto o ascoltato le sedute di Bolognini.

Nonostante ciò, Ariatti ha certificato un danno pari al 10 per cento per il padre e del 12 per cento per la madre, trascrivendo quanto detto dai due genitori in una pagina e mezza della sua consulenza. Il teste ha anche affermato di dissentire dal manuale diagnostico, il Dsm-5, che a suo dire in medicina legale non varrebbe nulla. Ma a pagina 13 della sua consulenza, Ariatti si rifà proprio a questo manuale.

Mazza ha anche commentato l'assoluzione dell'ex sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, sottolineando che «l’abuso d’ufficio è sempre stato utilizzato come strumento di controllo della politica: non è possibile che l’autorità giudiziaria si permetta di sindacare una scelta discrezionale come quella tra la coprogettazione o il codice degli appalti, che peraltro consente la coprogettazione - ha commentato al Dubbio -. Inoltre, il servizio di psicoterapia non può essere scelto sulla base dell’offerta economica più vantaggiosa, deve esserci un aspetto qualitativo che è prevalente rispetto a quello puramente economico. Noi eravamo ragionevolmente certi di poter dimostrare che l’abuso d'ufficio non sussisteva, al di là dell’abrogazione, ma è bene sottolineare che negli anni questo reato è stato uno strumento in mano alla magistratura per controllare e sindacare la politica, soprattutto sui terreni dove la politica compie scelte discrezionali».