Via Tasso, a Roma, è stata il cuore nero della repressione nazifascista durante l'occupazione tedesca tra il 1943 e il 1944. Il palazzo al civico 145, sede del comando della Gestapo, fu teatro di orrori indicibili dove partigiani, oppositori venivano interrogati, seviziati, annientati nella corpo e nello spirito. Tra di loro il 29enne Giuliano Vassalli, membro del Psiup e da alcuni mesi della resistenza romana, arrestato il 3 aprile ’44 in seguito a una spiata. I primi di gennaio, con un’azione spettacolare era riuscito a far evadere dal carcere di Regina Coeli Giuseppe Saragat e Sandro Pertini.

Sotto gli ordini spietati di Herbert Kappler i prigionieri venivano spogliati, umiliati, percossi con manganelli di gomma, bastoni, sbarre di ferro. Le mani legate dietro la schiena, appesi a ganci come bestie al macello, subivano il supplizio della corda: le braccia slogate, la carne che si lacerava. L’acqua gelida gettata sul volto per impedire lo svenimento, per prolungare la sofferenza. Il ferro rovente che marchia le carni, i denti frantumati a calci, le unghie strappate con le pinze. I corpi erano bruciati con sigarette, il volto ridotto a una maschera di sangue e gonfiore.

Tra le torture più efferate c’era l’elettroshock: scariche sulle tempie, sui genitali, fino a far perdere i sensi. Per due mesi Vassalli subisce i trattamenti brutali della Gestapo, ma non parla e non denuncia nessuno, resiste. Molti compagni sono morti sotto le botte, altri vengono giustiziati con un colpo alla nuca. Alcuni persino impiccati alle sbarre delle finestre, esposti alla vista degli altri reclusi per incutere terrore. L’incubo finisce due mesi dopo, nel giugno ’44 quando le truppe tedesche abbandonano in fretta e furia la capitale per l’arrivo degli alleati e assieme ad altri prigionieri Vassalli torna in libertà.

Dopo le violenze della guerra Giuliano Vassalli si dedica alla sua grande passione: il diritto (si era laureato in giurisprudenza nel 1936 con il professor Arturo Rocco, fratello dl ministro della giustizia Alfredo). A partire dagli anni '50, ottiene una cattedra all'Università di Torino, le sue lezioni sono affollatissime per la sua preparazione e la capacità di rendere chiari e distinti i temi giuridici più complessi.

I suoi lavori più rilevanti in ambito accademico riguardano in particolare il diritto costituzionale, l'interpretazione delle leggi e il rapporto tra diritto e giustizia. Vassalli affrontò il tema dell’equilibrio tra le istituzioni e i diritti fondamentali con uno sguardo sempre attento alla realtà sociale ed economica del paese, unendo la tradizione giuridica con la necessità di adattare il diritto alla nuova realtà post-bellica.

Un punto centrale della sua carriera è il contributo alla giurisprudenza costituzionale. Nel 1970 è nominato giudice della Corte Costituzionale, dove svolge un ruolo di primo piano. La sua visione giuridica è orientata verso una difesa intransigente dei valori democratici e costituzionali, in un periodo storico in cui il Paese stava vivendo intensi conflitti ideologici e sociali, con la stagione delle stragi di Stato e del terrorismo.

Nella Consulta Vassalli sostiene con forza una rigorosa interpretazione della Costituzione, che tuttavia non si limita alla sua lettura formale, ma prende in considerazione anche le evoluzioni della società, cercando di coniugare i principi fondamentali della Carta con le esigenze pratiche del tempo. Il suo prestigio è così grande che nel 1978 il segretario del Psi Bettino Craxi propone proprio Vassalli alla presidenza della repubblica nell’elezione che poi porterà il compagno di partito al Colle Sandro Pertini.

La consacrazione del suo impegno costante per migliorare il sistema giudiziario italiano arriva nel 1997 quando è nominato guardasigilli dal governo Goria, restando a via Arenula fino al 1991 anche sotto gli esecutivi De Mita e Andreotti VI. Il lascito più importante del suo mandato è stata la riforma in chiave garantista del codice di procedura penale che porta il suo nome. Il nuovo codice si ispira sostanzialmente al modello accusatorio di tradizione anglosassone che stabilisce il principio di uguaglianza delle parti (accusa, difesa e giudici) in contrapposizione con il vecchio modello inquisitorio del codice Rocco che al contrario si fonda si fonda sul principio di autorità e attribuisce molta più rilevanza ai soggetti inquirenti.

Nel testo viene ribadita la centralità della presunzione di innocenza già scolpita nella Costituzione. Un altro aspetto innovativo del codice riguarda la custodia cautelare dell’imputato durante il processo. In linea con il modello accusatorio, la detenzione preventiva non è più la norma, ma viene prevista esclusivamente in casi eccezionali, quando sia assolutamente necessario per evitare che la prova venga compromessa o dispersa. Inoltre fu lui a ispirare la legge 13 aprile 1988 che stabilisce la responsabilità civile dei magistrati per eventuali danni provocati nell’esercizio delle loro funzioni. Un provvedimento figlio dello choc suscitato dall’arresto del conduttore tv Enzo Tortora, accusato ingiustamente di far parte della camorra.

Poi, nel 1992 arrivano le stragi di Cosa nostra e l’inchiesta di Mani Pulite che spazza via i partiti della prima repubblica in un clima di giustizialismo diffuso che farà arretrare nella società le idee e i principi riformatori promossi da Giuliano Vassalli. Ma questa è un’altra storia.