«I sottoscritti consiglieri ritengono le parole del ministro – pronunciate, peraltro, in una sede istituzionale – integrino un “comportamento lesivo del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione tali da determinare un turbamento alla credibilità della funzione giudiziaria” e richiedono, pertanto, l’apertura di una pratica a tutela dell’ordine giudiziario ai sensi dell’art. 36 del regolamento interno». È un’iniziativa senza precedenti quella intrapresa dai togati del Consiglio superiore della magistratura e dal laico Pd Roberto Romboli. Che 24 ore dopo l’intervento del ministro Carlo Nordio hanno chiesto al Comitato di Presidenza di prendere posizione contro il guardasigilli, colpevole di aver replicato alle polemiche sulla separazione delle carriere puntando il dito contro i pm. Che sono già, ha dichiarato il guardasigilli, superpoliziotti, con un potere smisurato e, dunque, pericoloso.

«Intervenendo in Parlamento per la relazione sullo stato della giustizia il ministro Nordio - si legge nella richiesta -, nel descrivere l’attività del pubblico ministero, ha riferito di “clonazioni” di fascicoli, di indagini “occulte ed eterne”, di “disastri finanziari” descrivendo tali condotte come prassi diffuse e condivise dalle procure della Repubblica. Ha poi spiegato come i pubblici ministeri siano già “superpoliziotti” che godono, però, delle garanzie dei giudici proponendo così un’erronea ricostruzione dell’attività del pm e del suo ruolo nell’attuale assetto ordinamentale». Parole che appaiono, continua la richiesta, ancora più gravi «perché provenienti da uno dei titolari dell’azione disciplinare che ha l’obbligo di segnalare e perseguire le condotte che egli, con impropria e gratuita generalizzazione, pretende di attribuire alla generalità dei pubblici ministeri italiani».

Insomma, le toghe - che già hanno bocciato la riforma con un duro parere - chiedono di essere letteralmente difese, questa volta senza distinzioni tra correnti, complici anche le imminenti elezioni per il rinnovo dei vertici dell’Associazione nazionale magistrati. Appuntamento elettorale che ha spinto la corrente più moderata, Magistratura indipendente, la più presente nelle stanze del ministero con proprie toghe fuori ruolo, a non discostarsi dalla linea tracciata durante l’ultimo comitato direttivo centrale, quando è stata indetta una giornata di sciopero contro la riforma costituzionale - in programma per il 27 febbraio - a una protesta nelle sedi di Corte d’Appello il 25 gennaio, giorno in cui verrà inaugurato l’anno giudiziario nei distretti del Paese: solo quattro esponenti di Mi e un esponente di ciò che rimane di Autonomia e indipendenza, infatti, si sono astenuti.

La scelta di Mi di aderire alla richiesta di pratica a tutela appare, dunque, a molti come un’ulteriore mossa in chiave elettorale. Un concetto che anche il laico di Forza Italia Enrico Aimi ha evidenziato e rilanciato. «Apprendo con stupore e sconcerto che alcuni colleghi consiglieri hanno sottoscritto una surreale richiesta di apertura pratica a tutela del prestigio dell’ordine giudiziario in relazione alle dichiarazioni rese dal ministro della Giustizia in Parlamento - ha dichiarato in una nota -. A poche ore dalle cerimonie per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2025, queste suggestioni allarmistiche non fanno altro che esacerbare i già tesi rapporti tra magistratura e Esecutivo. Ricordo ai colleghi che il Consiglio superiore della magistratura non è la terza Camera. Tra i suoi compiti non c’è quello di fare opposizione al governo, biasimando le parole del ministro pronunciate peraltro nell’Aula del Senato della Repubblica. Capisco che le imminenti elezioni per il rinnovo dei vertici dell’Anm creino un clima da campagna elettorale che porta ad alzare sempre di più l’asticella dello scontro istituzionale, ma a tutto c’è un limite. Siamo all’Abc del rapporto di lealtà e reciproco rispetto dei ruoli istituzionali».

E non è escluso che il vicepresidente Fabio Pinelli - che pure tende a non esprimersi e a evitare la polemica - non appoggi, almeno intimamente, il ragionamento di Aimi: già lo scorso anno, infatti, nel corso di una conferenza stampa che suscitò numerose polemiche e una mezza ribellione dei togati del Consiglio, il numero due di Palazzo Bachelet richiamò la stagione degli scandali e dell’Hotel Champagne sottolineando il possibile ruolo improprio del Csm, trasformato in terza Camera: «Il Consiglio - aveva sottolineato - aveva perso, a nostro giudizio, la funzione propria che la Costituzione gli aveva assegnato, quella di organo di alta amministrazione e non di organo volto ad una impropria attività di natura politica. Il Consiglio non è una terza Camera, è un organo di rilevanza costituzionale, di governo di una funzione che è posta al servizio dei cittadini».

Uno «spostamento» che ha portato ad una «riflessione» dalla quale è emersa la «necessità di reimpostare un modello organizzativo di lavoro». Una frase che aveva suscitato polemiche, dato l’elemento di continuità tra le due consiliature - il Capo dello Stato Sergio Mattarella -, ma l’incendio di spense quasi subito. E quella frase, aveva suggerito qualcuno, era un modo per sponsorizzare la riforma del Csm. Che restringerà di molto il potere di Palazzo dei Marescialli, limitandone il ruolo politico, in mano invece all’Associazione nazionale magistrati.

Non è mancata la risposta di Enrico Costa (Forza Italia) ai consiglieri del Csm: «Il Csm anziché aprire inutili pratiche a tutela contro le sacrosante parole del ministro Nordio nelle aule del Parlamento, farebbe bene ad approfondire le modalità della protesta deliberata dall’Anm in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario - ha dichiarato -. Tale delibera indirizza i magistrati a porre in essere un comportamento che andrà valutato sotto il profilo disciplinare, per verificare se rappresenta un utilizzo improprio e strumentale della qualità, al fine di condizionare l’attività del Governo e del Parlamento».

Mentre a puntare il dito contro Nordio è Devis Dori, di Avs: «Abbiamo chiesto le dimissioni del ministro Nordio per l’orribile affaire del rilascio del trafficante libico, su cui anche la Corte penale internazionale chiede spiegazioni all’Italia. Oggi torniamo a farlo accusando Nordio di fomentare una guerra interna al sistema giudiziario che non ha nulla a che fare con l’amministrazione della buona giustizia. L’azione intrapresa dal Csm, da tutti i componenti togati di esso, dà il quadro di una situazione insostenibile».