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Non è vero che il numero d’affidi in Italia è spropositato. E non è vero nemmeno che le 85 richieste d’affido respinte dal tribunale dei minori di Bologna rappresentino un campanello d’allarme sulle competenze dei servizi sociali emiliani. Piuttosto, bisogna saper inquadrare i dati, senza quegli eccessivi allarmismi che dopo il caso Bibbiano hanno reso il sistema più vulnerabile, mettendo a rischio la sicurezza dei minori e creando diffidenza nei confronti degli affidi.
Uno strumento, invece, importantissimo, sottolinea al Dubbio Tiziana Giusberti, responsabile del progetto “A. A. A. adozione, affido e accoglienza” dell’Ausl di Bologna e dirigente psicologo presso l’azienda sanitaria, che lancia l’allarme dopo l’inchiesta “Angeli& Demoni”. Se da un lato l’indagine ha cercato di fare luce su presunti abusi commessi dagli assistenti sociali della Val D’Enza, dall’altra è finita al centro di una strumentalizzazione mediatica che ha messo in pericolo un intero sistema.
«C’è una maggiore diffidenza da parte delle persone e delle famiglie che si avvicinano a noi - spiega Giusberti - E gli operatori sono molto più impauriti, il che mette in pericolo soprattutto la tutela dei bambini». Tutto ciò perché se i servizi non sono liberi di ascoltare le difficoltà dei bambini, espresse attraverso i comportamenti «e non certo attraverso i proclami», il rischio che gli stessi vengano lasciati a situazioni poco sicure è molto alto, come evidenziato anche dal Tribunale dei minori di Bologna.
«La gogna di questi mesi ha messo in pericolo il lavoro dei servizi», continua la psicologa. E la conseguenza immediata è il calo dei progetti d’affido, in un periodo in cui, secondo Giusberti, sarebbe invece necessario investire, creando un lavoro congiunto di confronto tra servizi e tribunale. Ciò che succede è, invece, il proliferare di fake news, come quella che ha fatto passare il metodo Emdr, un approccio psicoterapico interattivo e standardizzato, per una forma di elettroshock.
«È un ambito molto complesso e bisogna fare un passo indietro per comprendere quali sono le metodologie per ascoltare i bambini e sostenerli - aggiunge Ma quello che sta succedendo in questi mesi rischia di non farci essere all’altezza del compito che lo Stato ci assegna, cioè aiutare i bambini a crescere». Nei giorni scorsi ci ha provato il tribunale dei minori di Bologna a fare chiarezza, analizzando cento casi degli ultimi anni pescati nel bacino di azione dei servizi della Val D’Enza, analisi dalla quale è emersa la certezza di una tenuta complessiva del sistema: ben 85 richieste d’affido, infatti, sono state respinte.
Ma se ciò accresce la fiducia complessiva, dall’altro per qualcuno dimostra anche che qualcosa non ha funzionato, dato che nell' 85% dei casi le richieste avanzate dai servizi sociali non sono state accolte. Una considerazione superficiale, per Giusberti, secondo cui è necessario «provare a comprendere il contesto giuridico». Bisogna, dunque, saper leggere i dati, partendo dal presupposto «che nel momento in cui gli operatori vengono a conoscenza di una notizia di reato sono obbligati ad informare la magistratura» .
Non ci sono, dunque, troppi affidi in Italia, Paese che si colloca agli ultimi posti in Europa per percentuale di casi. Uno strumento «bellissimo e complicatissimo, che mette davvero al centro il bambino e i suoi bisogni», continua Giusberti, e che richiede uno sforzo inter professionale, cure nei confronti del bambino, della sua famiglia e della famiglia che accoglie. E per fare tutto questo ci vogliono le risorse.
L’altro dubbio avanzato dall’opinione pubblica, a seguito dell’indagine, è che lo scopo principale di molte famiglie affidatarie sia il sostegno economico, con l’effetto di trasformare tutto in business. Ma con 500 euro al mese, contesta l’esperta, non si arricchisce nessuno. «La contropartita - sottolinea è cura, sanitaria e affettiva, per bambini lasciati ai margini. Ci si dimentica che la legge italiana è chiara: l'obiettivo è far tornare il bambino in famiglia». Ma come viene mantenuto il legame con la famiglia d'origine? «Con il tribunale lavoriamo moltissimo su provvedimenti come l'adozione mite o aperta - spiega ancora - che garantiscono i rapporti affettivi positivi tra il bambino e la sua famiglia d'origine, assicurando contemporaneamente anche le cure quotidiane».
Rimane comunque la necessità di riformare il sistema, così come sottolineato anche dal tribunale dei minori. Aumentando le risorse di personale, sociale e psicologico, troppo basse rispetto al fabbisogno. E serve maggiore supervisione e preparazione di base. «Non è possibile pensare che la decisione di allontanare un minore sia in mano ad un unico operatore - sottolinea Giusberti - Servono una squadra e una riflessione davvero molto seria, ricordando che da l’affido non è l’ultima spiaggia, ma un transito, un periodo in cui un bambino può usufruire del sostegno di una famiglia adeguata, preparata da noi, per poi tornare nella sua famiglia d’origine, una volta che la stessa si dimostra in grado di prendersene cura, materialmente e relazionalmente».