A vedere le audizioni partite ieri in commissione Affari costituzionali del Senato sulla separazione delle carriere si capisce subito che il clima tra le parti in gioco non è dei più sereni. Se da un lato il neo presidente dell’Anm, Cesare Parodi, ha mostrato un volto e argomenti più dialoganti rispetto a quelli del suo predecessore, l’Unione delle Camere penali con il presidente Francesco Petrelli e il segretario Rinaldo Romanelli hanno rivolto una severissima reprimenda nei confronti dell’attuale assetto dell’ordinamento giudiziario.

La stessa tensione si è riverberata anche tra i senatori presenti, al punto che verso la fine c’è stato un forte battibecco tra il presidente della Commissione, Alberto Balboni di FdI, e la vice presidente di Palazzo Madama, la dem Anna Rossomando. Il primo l’ha accusata di parlare più degli auditi prima di porre le domande, la senatrice ha replicato che stava solo difendendo le prerogative del Parlamento di discutere della riforma. Presente nel tavolo di presidenza anche il vice ministro Sisto che dall’inizio segue per il governo l’importante dossier. Ma entriamo nel dettaglio degli interventi.

«Il nostro movimento di pensiero non è opporci alla riforma o voler difendere privilegi, siamo qui per difendere alcuni principi attuali costituzionali; è pacifico che la Costituzione si possa modificare ma ci sono principi che rappresentano l’essenza del nostro essere magistrati che ci teniamo a difendere come cittadini», ha esordito il neo presidente dell’Anm Cesare Parodi, che poi è passato ad illustrare le contrarietà al ddl Nordio, rispondendo alle domande dei senatori, giunte numerose sia dalla maggioranza che dall’opposizione.

Secondo il vertice delle toghe, «la riforma non può incidere sui tempi e sull’efficienza della giustizia, lo ha detto in Aula persino la senatrice Giulia Bongiorno. Si tratta invece di una riforma legata alle etichette», volendo probabilmente intendere che è stata concepita per colpire la sua categoria. Poi l’appello, che sembrava davvero accorato: «Il sistema attuale sicuramente ha presentato criticità e problemi: aiutateci a superare questi problemi all’interno dell’attuale schema. Se io un giorno gioco male a tennis non devo buttare via la racchetta, devo giocare meglio, ma se butto via la racchetta non potrò mai giocare a tennis come spero di fare. Aiutateci a usare la racchetta che abbiamo, scritta tanti anni fa ma straordinaria ancora oggi». Ha poi ribadito: «Il timore dell’assoggettamento del pm al governo è la principale preoccupazione della magistratura associata, questo rappresenta il pericolo maggiore anche se non c’è ancora scritto da nessuna parte. Un pubblico ministero che in qualche misura appartiene a un ordine differente e viene progressivamente a sentirsi separato dal giudice corre certamente il rischio di andare incontro a una logica efficientista - ha proseguito -. Ciò che temiamo non si verificherà domani, ma è un processo irreversibile». Ha poi criticato il sorteggio per i membri togati dei due Csm: «Una parte di magistrati la vede con favore – ha ammesso - ed è una scelta fatta, come si è detto chiaramente, per contrastare il potere delle correnti. Ma le correnti non sono gruppi di potere, bensì magistrati che hanno la medesima sintonia, un medesimo modo di approcciarsi all’attività professionale. Nel sorteggio c’è un enorme rischio: mortificare il principio di rappresentatività».

In merito all’Alta Corte disciplinare, «desta stupore questa scelta perché tutti gli organismi disciplinari sono integrati con il momento gestionale e organizzativo dell’ente da disciplinare. Chi può valutare dev’essere calato nella realtà che deve disciplinare perché solo così si può avere una valutazione equa», ha concluso il presidente dell’Anm.

Sono poi intervenuti Francesco Petrelli e Rinaldo Romanelli. L’impressione è stata quella di voler allontanare la possibilità che il governo possa trattare con l’Anm sia sul sorteggio ma soprattutto sull’eventualità di non prevedere più due Csm distinti, come trapelato sugli organi di stampa a due settimane dall’incontro tra le toghe e la premier Meloni, ma anche come smentito categoricamente dal vice ministro Sisto nell’intervista di ieri a questo giornale. Infatti per Petrelli, «in una moderna democrazia controllore (giudice) e controllato (pm) devono essere collocati in diversi e distinti organismi di governo autonomo. Si tratta di un requisito che noi richiediamo a qualsiasi tipo di organismo. Come non possiamo pretenderlo per chi amministra la giustizia?».

Per Romanelli, «l’organo di governo autonomo della magistratura si è visto attribuire, ma anche in parte si è autoattribuito nel tempo, sulla base della teoria dei “poteri impliciti del Csm”, una quantità di competenze che non vede eguali in altri analoghi organi di governo della magistratura esistenti in paesi europei». Quanto alla modifica prevista dal ddl governativo in merito al sorteggio, «come è noto, non è contenuta nella riforma scritta da Ucpi. Deve però ricordarsi - ha continuato Romanelli - quali sono le premesse storiche che conducono a tale soluzione, che dalla magistratura associata sembra essere colta fuori dal suo contesto reale, come una umiliazione dell’ordine giudiziario. La logica delle “responsabilità” personali di pochi ha consentito, infatti, di evitare qualsiasi seria autoanalisi collettiva ed ogni onesta messa in discussione di ciò che le correnti sono diventate. Da laboratori culturali ed ideali a cartelli e coalizioni elettorali che, se ancora riescono a riflettere le tensioni politiche che attraversano il Paese, restano all’interno del Csm paralizzate dai vincoli spartitori volti al controllo delle promozioni. Il fenomeno del correntismo certo non è iniziato con Palamara e non vi sono evidenze che sia finito con lui». Intervenuto anche il presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Giuseppe Benedetto: «Il doppio Csm è il cardine stesso della riforma costituzionale. Ritornare all’unico Csm, sostanzialmente come è ora, comporta il fallimento di ogni sogno riformatore».