La psicoterapeuta Nadia Bolognini non è mai stata censurata dall’ordine degli psicologi di Torino per aver alterato i contenuti riferiti dai propri pazienti. Un fatto che era stato invece affermato in aula dal maresciallo Giuseppe Milano, che ha svolto le indagini sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza, e che basandosi sulla sola incolpazione mossa anni fa a Bolognini dall’Ordine aveva invece indicato come dato certo la sua censura. Proprio per tale motivo l’avvocato Luca Bauccio, difensore di Bolognini insieme a Francesca Guazzi, ha chiesto al Tribunale di trasmettere gli atti a Bologna per valutare l’ipotesi di falsa testimonianza. Tutto ciò è avvenuto oggi nella prima parte dell’esame della psicoterapeuta, tra gli imputati principali del processo “Angeli e Demoni”, accusata di aver manipolato i bambini in terapia scrivendo il falso nelle proprie relazioni.

Il maresciallo Milano, il 27 marzo del 2023, aveva dichiarato in aula che Bolognini aveva subito un procedimento disciplinare in relazione alla terapia svolta con la prima delle sue pazienti. «Bolognini - aveva dichiarato - veniva formalmente resa edotta dall’Ordine di riferimento sulla circostanza che all’interno delle relazioni da inviare alla magistratura avrebbe dovuto distinguere nettamente il contenuto delle dichiarazioni rese dai suoi pazienti dal contenuto invece che la stessa aveva interpretato ed elaborato. È importante questa censura per la consapevolezza che la Bolognini aveva rispetto alla necessità di tenere tale distinzione nelle comunicazioni all’autorità giudiziaria», cosa che secondo l’accusa non sarebbe avvenuta in Val d’Enza. Milano lesse in aula quella che a suo dire era la decisione dell’Ordine, che l’avrebbe censurata per la violazione degli articoli 11 e 13 del codice deontologico, che prevedono la responsabilità di fornire informazioni dettagliate su elementi oggettivi, distinguendoli dalle interpretazioni del professionista. Il fatto, ha però affermato Bolognini in aula, «è privo di qualsiasi fondamento». La psicoterapeuta è infatti stata «scagionata» da ogni addebito relativo agli articoli 11 e 13 «all’unanimità» e «in via definitiva». In quell’occasione, la psicoterapeuta non aveva ritenuto credibile il racconto della sua piccola paziente su abusi intrafamiliari e ritualistici, in quanto apparivano «poco credibili, se non fantasiosi». Dopo un anno si rivolse al sostituto procuratore minorile, spiegando che a distanza di tempo quel racconto veniva reiterato, chiedendo cosa fosse il caso di fare. La pm la invitò dunque a segnalare il fatto all’autorità giudiziaria. La stessa pm testimoniò nel corso del procedimento disciplinare, confermando la circostanza e contribuendo a scagionarla.

Da qui l’attacco di Bauccio: «Il maresciallo ha attribuito all’imputata una sanzione che egli stesso ha indicato come collegata, anche dal punto di vista probatorio e del rilievo dei comportamenti, alle imputazioni qui contestate - ha sottolineato -. Dal momento che il travisamento è documentalmente smentito e dal momento che è esplicito il ragionamento che il testimone ha svolto a corredo di questa falsa indicazione, chiedo al Tribunale di valutare la rilevanza penale di questa affermazione falsa». Ma Bauccio ha formulato la sua richiesta anche in relazione ad un’altra circostanza: Milano aveva infatti sostenuto che l’Ordine aveva contestato a Bolognini il riferimento alle sette, cosa rivelatasi non vera. «Il tema della setta non era nella mia testa - ha sottolineato - e nel provvedimento disciplinare non c’è alcun riferimento ad esso», come invece affermato da Milano. Quella della “setta” non sarebbe una fantasia degli operatori sociali: è la Polizia di Stato, ha sottolineato Bolognini, ad avere squadre antisetta in ogni Questura e, dunque, gruppi di lavoro che si occupano sia a livello di analisi che a livello di contrasto di fenomeni simili. Ma nella sua carriera Bolognini ha dichiarato di aver avuto a che fare con episodi simili solo nel suo lavoro con i sex offenders condannati in via definitiva e pochissime volte. In nessun caso, invece, ha riscontrato riferimenti a sette nel suo periodo di lavoro in Val d’Enza. A indicarla come interessata all’argomento era stata un’assistente sociale, Valentina Muraca, che sentita in aula come teste ha fatto riferimento ad un incontro nel quale Bolognini tirò fuori questo argomento. «Un incontro ci fu - ha sottolineato la psicoterapeuta -, ma Muraca non era presente, in quanto all’epoca non era ancora in servizio. Successivamente l’argomento non venne più trattato». In quell’occasione il tema venne affrontato in relazione al caso di una minore che veniva fatta prostituire dalla madre (poi condannata) con numerosi uomini, caso in cui consulente di parte della giovane era Rita Rossi - ora consulente dell’accusa in questo processo -, che aveva riferito racconti raccapriccianti su quanto capitato alla ragazzina. «La gravità di quei contenuti rendeva necessario un intervento nei confronti degli operatori sociali - ha evidenziato Bolognini -, in quanto producevano un impatto molto forte». Un lavoro di supervisione normale nel campo della cura, per arrivare ad un momento di elaborazione emotiva. Nel caso di questa giovane, Rossi non contestò errori metodologici nel lavoro di Bolognini, riconoscendo anzi l’ottima alleanza terapeutica con la paziente, dichiarando di condividere il parere della psicoterapeuta oggi imputata.

Bolognini ha anche chiarito che l’utilizzo dei test, in ambito consulenziale o peritale, non è facoltativo: «La formazione di base dice chiaramente che non si può fare una diagnosi, soprattutto su un bambino, in un colloquio. Ci vogliono più colloqui» e «test». E affermare che possano produrre traumi, come fatto dalle consulenti dell’accusa, «è una sciocchezza: i test sono tarati sui bambini». La difesa ha anche smentito l’accusa che Bolognini abbia inculcato nei minori falsi ricordi: erano stati proprio i minori a riferire, per primi, di aver subito abusi. E i falsi ricordi possono nascere solo nei casi in cui il minore abbia comunque avuto esperienza dell’evento che si vuole far passare per vero. Quando si tratta di eventi traumatici, ha spiegato Bolognini, «tutti gli studi scientifici di elaborazione del trauma affermano che è necessario mettere in parola quello che ci fa soffrire, per riuscire ad integrarlo, elaborarlo e stare meglio». La psicoterapeuta ha infine smentito l’esistenza di un “metodo” creato dallo psicoterapeuta Claudio Foti, già assolto in via definitiva. «Foti non è uno scienziato, non è un ricercatore, è uno studioso e non ha mai creato nulla, perché non ha il profilo per farlo», ha sottolineato. Insomma, ha solo applicato metodi già esistenti e riconosciuti dalla comunità scientifica. Un fatto riconosciuto anche dalla Cassazione. L’esame continuerà lunedì 21 ottobre.