Quando venne eseguito il blitz “Angeli e Demoni”, sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza, i carabinieri di Reggio Emilia si presentarono alle 6 del mattino a casa delle affidatarie di K., per prelevare la bambina e portarla in comunità. Una vera e propria «operazione di polizia» che rappresenta «il segno tangibile della poca attenzione alle condizioni emotive dei bambini che è stato il taglio morale di questa indagine», ha commentato a margine dell’udienza l’avvocato Oliviero Mazza, difensore, insieme a Rossella Ognibene, di Federica Anghinolfi, ex responsabile del Servizio e principale imputata del processo. Il particolare è emerso questa mattina con la testimonianza di Monica Caselli, una delle assistenti sociali convocate per prelevare la bambina dalla casa delle due affidatarie, che K. - la bambina che chiamò i carabinieri perché lasciata da sola dai genitori naturali, all’epoca di soli dodici anni - chiamava “mamma”.

L’allontanamento della bambina è avvenuto mentre tutta Italia leggeva sui giornali di veri e propri rapimenti messi in atto dagli assistenti sociali oggi sotto processo, notizie corredate in rete da video strazianti di bambini terrorizzati che venivano letteralmente strappati dalle braccia dei propri genitori. Video che con Bibbiano e col caso giudiziario in questione non avevano nulla a che vedere, ma che venivano spacciati come prove del metodo messo in atto dagli assistenti sociali oggi imputati. Mazza ha chiesto a Caselli se le fosse stato chiarito il motivo per cui fosse stato ritenuto necessario intervenire alle sei del mattino, domanda alla quale la teste non ha però saputo rispondere. «Ci hanno raccontato di servizi sociali che portavano via i bambini alle famiglie manu militari - commenta ancora Mazza -. Non era vero, come sappiamo, mentre è vero che K. è stata portata via all’alba, alla presenza di non meno di quattro carabinieri. La bambina si è svegliata al cospetto di sconosciuti».

La teste ha spiegato che l’affidataria ha chiesto alla bambina di fidarsi di una delle assistenti sociali intervenute. La bambina «aveva gli occhi stralunati, ci guardava tutti e guardava l’affidataria», con la quale «si sono salutate e abbracciate». In auto, K. ha affermato «che non vedeva i genitori da molto tempo ma che non voleva vederli» e di non capire perché la stessero portando via. E quando, dopo giorni, le fu spiegato che le affidatarie erano accusate di maltrattamenti la bambina aveva risposto «non mi hanno maltrattata». Ma non solo: come spiegato da Flavio Amico, responsabile della comunità educativa “Ca’ degli Angeli”, dove la bambina trascorse un periodo, K. rimase fortemente turbata a sentire pronunciare in tv il suo nome e quello delle affidatarie dal giornalista Mario Giordano. La bambina, ha spiegato Amico, «manifestava sicuramente un attaccamento alla coppia affidataria da cui era stata allontanata e si domandava perché ciò fosse accaduto». Dopo un primo momento di difficoltà, K. cominciò ad adattarsi e a legare con alcune ragazze. «Aveva però un forte desiderio di rivedere la coppia affidataria, a cui era evidentemente molto legata - ha sottolineato -. Ma questo desiderio è rimasto non esaudito».

Tra i testi sentiti oggi anche Elena Ferrari, pediatra, neuropediatra, sessuologa clinica, formata anche su maltrattamento e abuso, nonché componente del relativo Tavolo provinciale, la cui attività si interruppe bruscamente - e senza spiegazioni - dopo il blitz. Ferrari ha spiegato di aver conosciuto Nadia Bolognini, la psicoterapeuta del centro “Hansel e Gretel” imputata nel processo, per il trattamento di una bambina – sua paziente - che aveva subito trauma e che non si era riusciti a curare prima del suo intervento: la neuropsichiatria somministrava farmaci ma questi non risolvevano il problema. «Lei ha fatto miracoli, se ci fossero 10 terapeute come lei il mondo sarebbe migliore», ha spiegato la teste, che ha anche raccontato di aver conosciuto lo psicoterapeuta Claudio Foti (assolto in via definitiva) in occasione di un approfondimento condiviso su strutture che si occupassero di cura di bambini abusati, dato che sul territorio non ce n’erano. «Sognavamo, da idealisti, di poter creare un luogo poliedrico in cui curare i bambini - ha sottolineato -. Quando sono stata interrogata dalla pm Salvi mi sarei messa a piangere, pensando che il sogno si fosse infranto». La difesa di Anghinolfi ha depositato un’intervista fatta a Ferrari poco dopo il blitz, nella quale evidenziava la grande professionalità dei servizi sociali. «Sentivo il bisogno di urlare che quegli operatori erano bravissimi e finalmente lavoravano come si deve - ha evidenziato -. Anghinolfi era stimata e invidiata per il coraggio di prendere sul serio le situazioni. Accoglieva le segnalazioni con empatia e interesse, pur non andandosele a cercare». Ferrari ha criticato fortemente l’intervento della procura che, a suo dire, avrebbe messo la pietra tombale sul welfare che si era costruito intorno ai minori sui quali vi erano sospetti di abusi e maltrattamenti. Anche perché i dati ufficiali sui maltrattamenti, per sua esperienza, «sono assolutamente sottostimati». «Si fa fatica ad avere un intervento in casi molti evidenti - ha poi aggiunto -, figuriamoci di fronte ai sospetti». E quando la pm Valentina Salvi le ha chiesto se avesse mantenuto i contatti con gli imputati, Ferrari ha risposto che «è stato difficile, perché eravamo tutti intercettati, cosa che ritengo una violenza». Anche Ferrari, infatti, è finita sotto intercettazione, pur non essendo indagata. «Eppure - ha sottolineato ancora Mazza - è stata ascoltata proprio nel momento in cui l’avvocato Giovanni Tarquini (difensore dell’ex sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, ndr) le aveva chiesto di rendere dichiarazioni nell’ambito di indagini difensive. Quindi ci sono intercettazioni che colpiscono target collaterali e perfino gli avvocati», cosa vietata dal codice di procedura penale.
In aula è stata sentita anche la teste Alessandra Campani, socia fondatrice dell’associazione “Nondasola”, che ha spiegato che Anghinolfi voleva trovare delle strutture abitative dove collocare le madri che avevano subito maltrattamenti da parte dei mariti o dei compagni per tenere insieme madre e minore. La difesa Anghinolfi ha prodotto i certificati scolastici di due minori coinvolti nel caso Angeli e Demoni, che attestano che i bambini hanno continuato a frequentare la scuola in Italia, smentendo, dunque, quanto detto dal padre in aula: l’uomo aveva infatti dichiarato di esser dovuto scappare in Inghilterra, portando con sé i bambini, che invece, stando alla documentazione, non si sarebbero mai spostati.

Inoltre, l’udienza si è aperta con un battibecco tra la pm e l’avvocato Mazza: Salvi ha infatti prodotto le richieste di intercettazione della polizia giudiziaria, su richiesta della Corte, che in separata sede e «senza informare le parti - ha evidenziato Mazza -, avrebbe richiesto al pubblico ministero di depositare i decreti autorizzativi delle intercettazioni. Questo tipo di richiesta dovrebbe essere presentata in udienza, affinché tutte le parti siano al corrente delle interlocuzioni tra giudice e pubblico ministero. È essenziale che il processo si svolga in aula, non nei corridoi del Tribunale. Inoltre - ha aggiunto - i decreti di autorizzazione per le intercettazioni fanno riferimento alle richieste del pubblico ministero, che a sua volta si basa sulle richieste della polizia giudiziaria. Questo porta a un “gioco di matrioske”, dove per capire la motivazione del decreto bisogna risalire alla richiesta iniziale della polizia giudiziaria. La Costituzione riserva la materia delle intercettazioni all'autorità giudiziaria, e quindi considero inaccettabile questa dinamica». Da qui un’ulteriore riflessione sul tema della separazione delle carriere: «Oggi, in effetti, il pubblico ministero sembra essere subordinato alla polizia giudiziaria - ha concluso Mazza -, dato che le sue richieste sono in gran parte una formalizzazione delle richieste fatte, nel caso specifico, dai carabinieri».