«Ho sempre praticato, e nonostante tutto pratico anche oggi, la mia professione con passione e dedizione. Inutile negare che c’è un prima dell’indagine cosiddetta “Angeli e Demoni” e un dopo: sia rispetto alla mia vita professionale che a quella privata. Ho infatti impiegato anni, anche sottoponendomi a sedute psicologiche, per elaborare lo sbigottimento iniziale, poi la rabbia e il dolore, per quanto mi veniva contestato a seguito delle indagini svolte a mio carico. Ho passato anni della mia vita a temere per ogni firma messa o per ogni parola detta, a volte, anche solo con ironia fra colleghi». Le parole di Valentina Ucchino, neuropsichiatra infantile, responsabile del servizio di Npia di Montecchio Emilia, sono il riassunto dello stato d’animo di tutti gli imputati che, negli ultimi giorni, hanno deciso di parlare nel processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. L’udienza di questa mattina ha segnato la chiusura dell’istruttoria dibattimentale: il 17 marzo, infatti, inizierà la requisitoria della pm Valentina Salvi, mentre l’ultimo intervento difensivo è previsto il 30 aprile. Ucchino, difesa dall’avvocato Matteo Marchesini, ha spiegato di aver controfirmato, nel 2018, una relazione redatta dalla collega Imelda Bonaretti, riguardante la minore A. B... L’intervento psicologico era stato avviato nel 2016 su segnalazione di un’altra collega, durante la sua assenza per gravidanza. «Bonaretti negli anni in cui ha lavorato nel servizio di Npia di Montecchio Emilia lo ha fatto con impegno e attenzione - ha evidenziato -, e ciò che ha scritto nella relazione era assolutamente in linea con quanto la stessa mi aveva riferito nel tempo in merito alla condizione di A.», che poi non ha più incontrato. «Non avevo alcun motivo per non firmare quella relazione - ha aggiunto -. In questi anni mi sono spesso chiesta, e mi chiedo ancora, se la rifirmerei. E la semplice risposta è sì. È pratica, infatti, comune nei servizi controfirmare relazioni scritte da altri professionisti, ognuno riferendosi alla propria parte di competenza», che nel suo caso riguardava una diagnosi di disturbo del linguaggio e impaccio motorio. Ma si fidava della dottoressa Bonaretti: «Quando firmo una relazione mi affido senza pregiudizi alla professionalità del collega, senza doverne per forza dubitare», ha evidenziato.

Ucchino ha respinto le contestazioni legate all’omissione di informazioni sul percorso psicologico della minore e sull’uso del termine “masturbazione” in anamnesi, chiarendo che si trattava di una descrizione di comportamenti tipici dell’età infantile. «Preciso che ho riportato quanto riferitomi dalla mamma che mi diceva degli strusciamenti da lattante e successivamente in età prescolare (maggio 2013) che io per velocità ho riassunto con il termine di masturbazione - ha chiarito -, ma ben sapendo a cosa mi riferivo e di certo non ad un comportamento di natura sessuale, ma alle tipiche manifestazioni autoconsolatorie di quell’età. Io in quella occasione stavo scrivendo un’anamnesi e non stavo certificando nulla, tanto è vero che nella mia relazione e nella diagnosi funzionale non ne faccio menzione». Riguardo al presunto abuso intrafamiliare, afferma di non aver mai avuto certezze né segnalazioni in tal senso. «Non avevo nessuna convinzione a tal riguardo - ha evidenziato -. Probabilmente, sul punto, è stato male interpretato il diario clinico». Per quanto riguarda, infine, la contestazione di aver rivelato il segreto istruttorio, parlando dell’indagine con una collega dopo essere stata sentita a sit, «posso solo dire di aver in quella circostanza agito sull’onda dell’impulsività e della particolare situazione emotiva del momento e non ho certo pensato di rivelare alcunché, non essendo peraltro mai stata coinvolta in un interrogatorio o audizioni davanti alla polizia giudiziaria. Ci tengo a sottolineare che ancora oggi mi chiedo perché avrei dovuto sottoscrivere una relazione falsa senza alcun motivo mettendo a repentaglio la mia etica e la mia integrità professionale, a fronte di un non so quale impensabile tornaconto personale o altrui».

A rilasciare dichiarazioni anche Imelda Bonaretti - difesa dagli avvocati Franco Libori e Franco Mazza -, psicologa, accusata, tra le altre cose, di aver alterato il disegno simbolo dell’inchiesta, quello della piccola A., al quale, secondo l’accusa, avrebbe aggiunto delle braccia per raccontare un presunto abuso. Era stata la bambina, come già emerso durante il processo, a raccontare alle maestre che le «mancava il sesso con D.», all’epoca compagno della madre. «Non ho mai alterato o contraffatto nessun disegno o parte di esso; né ho mai inteso sviare le indagini, che originarono dalla segnalazione che io stessa feci! Il disegno di A. è stato completato davanti a me», ha rivendicato con forza la psicologa, respingendo tutte le accuse. «La nonna di A. - ha sottolineato - diceva che la bambina da circa due mesi aveva episodi di enuresi diurna e crisi di pianto in cui lamentava di non poter vedere più l’ex compagno della mamma, D.. Diceva che quando andava da lui, dormiva nel letto con la madre e anche lui». Bonaretti ha chiarito di non aver mai denigrato i genitori della bambina, ma di averla accolta in quello che desiderava dire. «Le volte in cui ha detto di non voler vedere il nonno sono state 70, le ho contate - ha poi aggiunto -, probabilmente perché aver parlato delle difficoltà del papà era stato violare un segreto di famiglia, quindi un comportamento riprovevole. È chiaro che dopo averla sentita tante volte dirlo, non avrei mai messo in dubbio la sua emozione, lasciando invece spazio al suo esprimersi confermandole che ciò che diceva lei aveva valore». I bambini, ha sottolineato, «non sono bugiardi, ma i loro comportamenti possono essere adattivi». Bonaretti ha poi sottolineato di non avere responsabilità nell’allontanamento della bambina. «Il decreto è arrivato come un fulmine a ciel sereno, non lo avevamo chiesto né pensato. L’abuso rivelato era extra-famigliare», ha aggiunto, «ma mi sono fidata della decisione del Tribunale e d’altra parte A., in affido, è rifiorita, era sotto gli occhi di tutti». Per quanto riguarda K., la bambina che aveva chiamato i carabinieri perché lasciata sola in casa, «le affidatarie erano molto aperte e disponibili nonostante le modalità della bimba. Avevo solo cinque sedute per valutare la situazione di K. ed ero preoccupata perché avevo raccolto segnali di malessere». Mentre per quanto riguarda A. T., la cui madre aveva denunciato l’ex marito dopo aver raccolto dal figlio una confidenza su un presunto abuso subito, «allora non aveva ritrattato l’abuso subito dal padre, quindi per me la situazione era chiara. Diceva di non riuscire a non pensare alle cose brutte che gli aveva fatto il papà e aveva ansia forte e encopresi. Non si poteva non segnalarlo. Un preadolescente che ha episodi di encopresi a scuola è preoccupante». Per quanto riguarda V. S., ex paziente di Claudio Foti (assolto in via definitiva), «non ero in servizio quando fu fatta la segnalazione». Durante il primo incontro, la ragazza «mi apparve molto sofferente». Anche la madre aveva raccontato le difficoltà della figlia e Bonaretti si sarebbe limitata a riportare quanto detto dalle due donne. «Era innamorata del suo ragazzo - ha evidenziato -, ma aveva vissuto l’atto sessuale come traumatico. Raccontava, dopo il proprio diniego, di essersi estraniata per tollerarlo». E raccontava anche che il padre «la insultava».

In aula anche la voce dell’assistente sociale Annalisa Scalabrini, difesa dagli avvocati Cinzia Bernini e Elisabetta Strumia. «Ho sempre agito con la convinzione di fare il mio dovere e di operare come assistente sociale nell’interesse esclusivo e superiore dei minori che avevo in carico - ha sottolineato -, per il loro bene, per il loro benessere, rispettando le disposizioni che ci venivano date dall’autorità giudiziaria». Scalabrini ha respinto nel modo più assoluto tutte le accuse che le sono state rivolte, dichiarando di aver fatto semplicemente il proprio dovere, nell’interesse esclusivo e superiore dei minori che aveva in carico. L’assistente sociale ha poi parlato di anni dolorosissimi e faticosi, sottolineando la sofferenza derivata dal fatto di essere stata «ingiustamente accusata» e la difficoltà nel dover affrontare, suo malgrado, una tempesta giudiziaria e mediatica che ha cambiato completamente la sua vita. Una tempesta che le si è abbattuta addosso quando aveva solo 26 anni e al suo secondo incarico professionale. Scalabrini ha ribadito di non aver mai rappresentato o riportato in modo falso o distorto, nelle sue relazioni, ciò che le veniva riferito, ciò che vedeva e ciò che aveva constatato personalmente, tenendo nei confronti dell’autorità giudiziaria un atteggiamento di massimo rispetto, consapevole del difficilissimo ruolo che avevano i giudici. L’assistente sociale ha fornito alcuni chiarimenti rispetto ad alcune imputazioni, riconoscendo inoltre come proprie alcune voci in alcune intercettazioni che ha ritenuto importanti per la propria difesa.