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L'aula del processo Angeli e Demoni piena di gente durante l'udienza di questa mattina
«Il tema degli affidi a coppie lgbt stava veramente tanto a cuore a Federica Anghinolfi (ex responsabile del servizio sociale in val d’Enza, ndr), che ne aveva fatto un obiettivo ben preciso nella sua veste di dirigente pubblico». A dirlo oggi in aula la pm Valentina Salvi, nella sua sesta giornata di requisitoria nel processo sui presunti affidi illeciti in val d’Enza, il cosiddetto “caso Bibbiano”. Secondo la pm, K. - la bambina che aveva chiamato i carabinieri dichiarando di essere stata lasciata da sola dai genitori - «era diventata ormai il simbolo di questa lotta personale di Anghinolfi. Era diventata la figlia delle spose e le affidatarie erano diventate le migliori affidatarie». Affidatarie che, secondo la pm, sarebbero state le vere maltrattanti e non i genitori, nei confronti dei quali la bambina provava nostalgia. Per questo ha chiesto la condanna delle donne, con riferimento alle condotte con cui la «obbligavano» ad esempio ad aprirsi con la psicoterapeuta Nadia Bolognini o le sgridate in auto, condotte, ha detto, che «si ritengono essere manifestamente maltrattanti, prescindendo dal fatto che potevano essere tenute a fin di bene, al fine di farla stare meglio».
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«La questione non è quella di valutare in quest’aula, e non avremmo le competenze per farlo, l’opportunità o meno di garantire l’adozione a coppie omosessuali - ha evidenziato la pm -. Però, con riferimento proprio a questa vicenda, Anghinolfi ha approfittato del suo ruolo di dirigente pubblico per poter eludere sostanzialmente la normativa», secondo cui l’affido deve avere una durata espressamente prevista di 24 mesi. Secondo l’accusa, i Servizi avrebbero piegato la normativa «dolosamente e strumentalmente» per eludere il divieto, «con conseguenze economiche - ha affermato la pm -, perché l’affido sine die postula il mantenimento del minore a carico dell’ente locale». Era un programma politico, di fatto: “colpa” di F. B., una delle affidatarie, è infatti anche aver tentato, tramite suoi riferimenti politici, di promuovere una legge per l’affido a coppie omosessuali, partecipando attivamente a eventi sul tema. Insomma: «K. era diventata un simbolo politico», ha sottolineato la pm. Eppure, è stata proprio l’inchiesta a diventare strumento politico in mano alle destre, nel tentativo - poi fallito - di far approvare norme come quella sulla sindrome di alienazione parentale, teoria bollata dalla Cassazione come antiscientifica.
K., ha sottolineato Salvi in aula, vide i genitori pochissime volte, pur manifestando più volte il desiderio di incontrarli. Un desiderio espresso non solo dalla bambina, ma anche dai genitori, ha evidenziato la pm. Ciononostante, dopo il blitz “Angeli e Demoni”, il rapporto tra K. e la famiglia non è stato dei migliori: a maggio del 2020 era stata ricollocata presso il padre, manifestando un conflitto ingestibile con la madre, con la quale rifiutava gli incontri. E nelle relazioni dei nuovi Servizi, subentrati a quelli finiti sotto processo, inoltre, emergeva il forte conflitto tra i genitori, più volte richiamati a fare attenzione alla salute psico emotiva della bambina, che era «non vista». Tant’è che i genitori, ad un certo punto, hanno dichiarato entrambi di non sapere dove tenerla, com’è emerso nel corso dell’istruttoria.
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La famiglia di K., fino a un anno prima dell’allontanamento, risultava monitorata dai Servizi e, dopo un periodo di affiancamento, il 7 agosto 2015 la necessità di vigilanza era stata revocata. Le cose, però, sono cambiate il 7 giugno 2016, quando K., alle 9.50, chiamò il 112, annunciando di essere stata lasciata da sola. «Alle 10.30, prima che si potesse fare qualunque riscontro dei fatti, l’affido era sostanzialmente tutto già deciso», ha evidenziato la pm. «Un dato certo di quella giornata è che K. era effettivamente sola a casa - ha sottolineato Salvi -. Il livello di conflittualità tra i genitori in quel periodo era molto elevato». Ma entrambi - questa la tesi dell’accusa - «erano convinti che con la figlia sarebbe rimasto l’altro». Era giusto dunque intervenire, secondo la pm, a riprova del fatto che «la procura e i carabinieri non hanno mai voluto portare avanti una campagna pro-genitori e adultocentrica». Ma un allontanamento, ha aggiunto, non era necessario. «Ci si domanda perché, dopo un affido d’emergenza, non ci sia stato un tentativo di recupero della genitorialità - ha sottolineato -. E quindi ci si domanda se l’affido serva a togliere i figli per darli semplicemente a qualcun altro».
Secondo la pm, a casa di K. non ci sarebbe stato cibo avariato, così come descritto dall’assistente sociale Francesco Monopoli, ma i resti della cena della sera prima. Tant’è che i carabinieri intervenuti in casa della bambina «non sottolinearono il punto specifico, che avrebbero dovuto mettere in evidenza nel caso in cui avessero riscontrato la casa nelle condizioni in cui era descritta nella relazione». «Forzature», secondo la pm, finalizzate ad ottenere l’allontanamento. Ciò nonostante l’abbandono di K. «fosse una situazione del tutto imprevista e occasionale». K., nel corso dell’incidente probatorio - al quale le difese però non hanno preso parte -, avrebbe confermato che «preferiva stare con i genitori» e che non era mai accaduto prima di rimanere da sola in casa. Ma già una settimana dopo l’affido, Anghinolfi ipotizzava di mandare K. in psicoterapia da Bolognini (ci andrà in realtà soltanto a giugno 2017, dopo che le era stato diagnosticato dalla psicologa Imelda Bonaretti un disturbo traumatico dello sviluppo). Il tutto, secondo la tesi della pm, col fine di screditare i genitori e prolungare l’affido. Negli scritti della bambina emergerebbe, secondo la pm, la paura nei confronti delle affidatarie più che dei genitori biologici. Ciò nonostante proprio la bambina, in un’ambientale con la madre, affermasse l’esatto contrario: «Non mi hanno maltrattata - aveva detto - perché le accusano?».
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La pm ha ripetuto che in occasione delle urla di D. B. in auto, la bambina sia stata fatta scendere dall’auto sotto la pioggia, cosa esclusa persino dal maresciallo Giuseppe Milano, principale investigatore di questa inchiesta. Dopo il blitz “Angeli e Demoni”, ha poi sottolineato Salvi, K. inviò alle affidatarie una lettera molto arrabbiata, sostenendo di non volerle più vedere. Ma era stato sempre Milano a dire in aula - su domanda di Andrea Stefani, difensore delle affidatarie insieme a Valentina Oleari Cappuccio - che quella lettera non aveva peso: la bambina l’aveva scritta dopo aver letto numerosi articoli, aveva spiegato Milano, e «questa lettera l’abbiamo acquisita e portata poi alle valutazioni della magistratura prendendo atto di quella sorta di contaminazione, quindi non gli abbiamo attribuito, almeno anche noi come investigatori, un grande valore». Una contaminazione che il giorno dell’ambientale con la madre, a settembre 2019, evidentemente non era ancora avvenuta.