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Non c’era alcuna ragione per far finire il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, ai domiciliari. Né c’erano motivi per impedirgli di tornare totalmente in libertà, disponendo per lui l’obbligo di dimora con lo scopo di tenerlo lontano dai contatti politici che avrebbero potuto indurlo a reiterare i reati. Le motivazioni con le quali la Cassazione, lo scorso 3 dicembre, ha rimesso in libertà il primo cittadino del Comune della Val d’Enza, pesano come un macigno sull’inchiesta “Angeli& Demoni”.
Soprattutto pesano sulla spettacolarizzazione, spinta fino alla gogna mediatica, che ha fatto finire sul patibolo, in primis, proprio Carletti che, seppur estraneo alle pesanti accuse mosse dalla procura di Reggio Emilia nei confronti degli assistenti sociali sospettati di aver ingiustamente allontanato sette minori dalle loro famiglia, è diventato simbolo di un orrore ancora tutto da dimostrare.
È stato proprio il suo nome a consentire al fatto di cronaca di trasformarsi in fatto politico: da sindaco del Pd, la responsabilità di quei fatti, per osmosi, sarebbe appartenuta a tutto il partito. E così l’equazione, specie per la Lega di Matteo Salvini, è stata elementare: sistema Bibbiano uguale sistema Pd.
Un sistema la cui esistenza è stata messa in dubbio, per ultimo, anche dal tribunale dei minori di Bologna, guidato da Giuseppe Spadaro, che da estraneo all’indagine ha analizzato i casi degli ultimi anni sostenendo che si tratta di un’anomalia per la quale non si può criminalizzare un’intera categoria, finendo così anche lui nel mirino dei detrattori.
Un sistema col quale, comunque, Carletti, non c’entrava nulla. In primo luogo perché l’accusa mossa nei suoi confronti ha ben altra natura: abuso d’ufficio. Nulla a che vedere con quella manipolazione sui bambini, ipotizzata dalla procura, messa in atto con un unico tremendo obiettivo: togliere quei ragazzi ai propri genitori per affidarli ad altri, per guadagnare soldi in cure private e corsi di formazione. Carletti, secondo l’accusa, sarebbe stato consapevole della assenza «di qualunque forma di procedura ad evidenza pubblica volta all’affidamento del servizio pubblico di psicoterapia a soggetti privati».
Ma di quello che succedeva ai bambini non sapeva nulla, come chiarito in conferenza stampa anche dagli inquirenti. Troppo tardi, però, perché nel frattempo era già stato scelto come capro espiatorio da utilizzare durante tutta la campagna elettorale per le regionali in Emilia Romagna. E non è un caso, infatti, se a mettere in mostra in Parlamento la maglietta “Parlateci di Bibbiano” sia stata proprio la candidata a governatore della Lega Lucia Borgonzoni.
Per la sesta sezione penale della Cassazione, però, non vi sono «esigenze cautelari» basate su «requisiti della concretezza e dell’attualità» nei confronti di Carletti, che ora rischia il processo a seguito della chiusura delle indagini notificata ieri stesso al primo cittadino e ad altri 24 indagati. Nessun pericolo di reiterazione del reato, né di inquinamento probatorio. E il Riesame, che dopo tre mesi aveva convertito i domiciliari in obbligo di dimora, non ha indicato «elementi concreti dai quali sia possibile desumere le ragioni della persistente effettività del ravvisato “periculum libertatis”». Insomma, Carletti non avrebbe dovuto passare quei mesi privato della propria libertà.
Per i giudici del Palazzaccio, le ragioni alla base della decisione del Riesame sarebbero evanescenti: gli elementi relativi «all’interessamento che Carletti avrebbe a suo tempo mostrato per la ricerca di un immobile da adibire a nuova sede per la prosecuzione dell’attività di psicoterapia svolta da altri indagati nei confronti dei minori in carico al servizio sociale», temporalmente collocati «alla fine dell’anno 2018», e «posti in relazione con un altro passaggio motivazionale, di non univoca e quanto meno dubbia interpretazione» tratto dalle dichiarazioni che Carletti rese in un interrogatorio del 12 agosto 2019, quando «genericamente e in via del tutto ipotetica - scrive la Cassazione - si limitò ad affermare che, qualora fosse tornato a rivestire la carica di sindaco, avrebbe potuto prendere in considerazione la proposta, proveniente da un interlocutore serio ed onesto, di un investimento su un terreno privato per la progettazione di una struttura, parallela a quella gestita dalla Asl per la tutela di minori ed anziani», non dimostrerebbero alcunché. Anzi, per la Cassazione si tratta di una considerazione «di natura meramente congetturale e di per sé non sintomatica della intenzione di commettere ulteriori condotte delittuose dello stesso tipo di quelle per cui si procede».
Il Riesame, dunque, «ha illogicamente ricollegato la manifestazione di un atteggiamento volitivo orientato a proseguire l’esercizio delle funzioni di sindaco “con un metodo d’azione volto alla mera realizzazione ai fini politici, indifferente alle regole e alla normativa sottostante”». Il tutto, contesta la Cassazione, senza basarsi su «una prognosi incentrata sul probabile accadimento di una situazione di paventata compromissione delle esigenze di giustizia», bensì, «pur ammettendo l'inesistenza di concreti comportamenti posti in essere dall'indagato», il Riesame «ne ha contraddittoriamente ravvisato una possibile influenza sulle persone a lui vicine nell'ambito politico amministrativo per poi inferirne, astrattamente e in assenza di specifici elementi di collegamento storico- fattuale con la fase procedimentale in atto, il pericolo di possibili ripercussioni sulle indagini». Tutto «senza spiegare se vi siano, e come in concreto risultino declinabili, le ragioni dell'ipotizzata interferenza con il regolare svolgimento di attività investigative ormai da tempo avviate». Di «natura meramente congetturale» anche il rischio di reiterazione.
«È un grande risultato - ha commentato l’avvocato Giovanni Tarquini all’AdnKronos -, perché si riconosce che, fin dall’inizio, non c’erano i presupposti e le motivazioni per la misura cautelare. Le misure cautelari sono uno strumento molto forte e di fatto un’anticipazione del giudizio e, in questo caso, erano una forzatura. È un atto forte da parte della Cassazione - prosegue - perché nell’impostazione dell’accusa si riteneva che Carletti potesse condizionare le indagini e questo viene smentito e viene riconosciuto che non c’era una volontà di collusione con il mascheramento di condotte illecite o di non far arrivare alla verità. Infatti è tutto il contrario da parte del mio assistito». Ma le pesanti ragioni evidenziate dalla Cassazioni non hanno scoraggiato Salvini durante il suo tour in Emilia: «i ladri di famiglie vanno in galera». Mentre Matteo Renzi, su Facebook, ha rivendicato la propria posizione garantista: «ci sarà oggi qualche coraggioso grillino o leghista pronto a scusarsi per lo squallido sciacallaggio?».