«Vorrei sottolineare che nessuno, finora, aveva messo in funzione finora questo macchinario. Ecco, come vedete non ha provocato nessun cambiamento in me e nessuna immutazione mentale». L’avvocato Luca Bauccio, difensore della psicoterapeuta Nadia Bolognini, stringe tra le mani i due sensori del Neurotek, la famigerata “macchinetta dei ricordi” che nell’immaginario collettivo ha rappresentato una forma di tortura su minori indifesi ai quali instillare ricordi falsi. L’avvocato ne fa vedere il funzionamento in aula, nel corso del processo sui presunti affidi illeciti in val d’Enza, nelle battute finali del lungo esame della sua assistita, conclusosi oggi. Sottolineando due cose: in primo luogo che nessuno - né l’accusa né le sue consulenti - hanno mai effettivamente verificato come funzionasse e se fosse potenzialmente dannoso (cosa smentita perfino dal perito della procura). E in secondo luogo, che una volta messo in funzione gli effetti sulla psiche sono nulli, avendo una funzione auto rilassante e nessuna capacità di provocare danni. «Le emissioni sonore sono pari a zero - ha sottolineato - e le vibrazioni praticamente impercettibili». Si tratta della «“macchina degli orrori” che ha tanto alimentato ed entusiasmato per mesi tutta una letteratura giornalistica che si appassiona tanto alle favole e poco ai fatti - commenta Bauccio, che ha testato lo strumento anche in presenza del Dubbio -. Questo è lo strumento che avrebbe provocato scosse elettriche o elettroshock, nella prima versione entusiasta di questo macchinario. Ma non produce nessun effetto magico, neanche un solletico. Si è costruita un’indagine sulla mitologia di questo aggeggio, ma nessuno mai l’ha messo in funzione, nemmeno le consulenti del pubblico ministero che hanno dichiarato di non averlo mai visto, pur tuttavia si sono espresse dicendo che era uno strumento col quale si alterava la memoria dei bambini».
Ma non solo: Bauccio contesta anche l’assenza di un documento dal fascicolo - pure contenuto nell’informativa - che spiegherebbe uno dei disegni di K. depositato dall’accusa e raffigurante un uomo e una donna nudi, con l’uomo che tocca i genitali della donna. Bauccio ha chiesto se il disegno avesse un contenuto pornografico, circostanza che Bolognini ha negato, sottolineando che una donna nuda non può essere pornografia. La difesa ha dunque evidenziato che la frase «questo disegno mi ha fatto pensare ad una violenza sessuale» - scritta da K. - non sarebbe nata dal nulla, così come il disegno, ispirato dalla visione casuale della bambina di due quadri che riproducevano esattamente l’immagine poi tratteggiata a mano. «Nessun condizionamento - evidenzia Bauccio -, ma la riproduzione di una fotografia che ha riattivato dei contenuti traumatici. Quindi non era una frase sotto dettatura». La foto di quei quadri era contenuta nell’informativa, ma non è stata mai prodotta dal pm al Tribunale, pur essendo i due fogli uniti. Un fatto singolare, per il legale, che ha dunque prodotto la foto: a sparire è stato proprio «Il foglio decisivo per interpretare e collocare quel disegno come opera spontanea della bambina».

Uno dei momenti dell'esame di Nadia Bolognini in aula
Uno dei momenti dell'esame di Nadia Bolognini in aula
Uno dei momenti dell'esame di Nadia Bolognini in aula

Durante l’udienza si è consumato poi l’ennesimo acceso scontro tra accusa e difesa: la pm ha infatti tentato di rivolgere alcune domande sulla situazione familiare di Bolognini, tentativo che ha suscitato la ferma reazione di Bauccio, che in aula ha sottolineato l’estraneità di tali fatti rispetto ai capi d’imputazione. La pm Valentina Salvi ha però riproposto la questione, suscitando la reazione del legale, secondo cui «si trattava unicamente di un tentativo per denigrare l’imputata, insistendo nel formulare una domanda su aspetti privati che non hanno nulla a che fare con i capi d’imputazione». La presidente Sarah Iusto ha ripreso la pm, sottolineando il tentativo di «provocare l’avvocato dell’imputato», per poi sospendere l’udienza e invitare Salvi a scrivere su un foglio la domanda da sottoporre, per consentire al collegio di valutarne la rilevanza. Alla ripresa dell’udienza, però, la pubblica accusa ha rinunciato a formulare tali domande.
Nel prosieguo dell’udienza, la difesa di una delle parti civili ha contestato Bolognini per aver dato credito alla famiglia affidataria della piccola C.. La difesa ha però richiamato tutti i passaggi della perizia del ctu Umberto Nizzoli, secondo cui la bambina era stata «molto trascurata dalla sua famiglia naturale», perizia mai messa in discussione né dal pm né dalla parte civile e che attribuiva grande credibilità alla famiglia affidataria, con un lavoro di verifica del narrato che aveva escluso attività di falsificazione o invenzione. Da qui una validazione anche del lavoro di Bolognini, che sostanzialmente ha ricalcato le conclusioni di Nizzoli.
Bauccio ha anche evidenziato come non ci fosse un tentativo, da parte di Bolognini, di ricondurre i comportamenti chiaramente sessualizzati di K. a presunti abusi da parte del padre. Non bastano i comportamenti sessualizzati per ritenerli frutto di abuso da parte dei genitori, ha sottolineato la psicoterapeuta: tali comportamenti, infatti, sono elementi sintomatici di un’esposizione a contenuti sessuali, ma da parte sua non c’era alcun interesse a formulare a priori accuse nei confronti dei genitori in assenza di elementi che giustificassero tali conclusioni, cosa che in effetti Bolognini non ha fatto. Tutto il contrario, dunque, di un’ossessione per gli abusi, come dimostrato anche dalle conclusioni di una relazione datata 22 dicembre 2018 e relativa ad un altro minore, N., nella quale Bolognini scriveva che le affermazioni del bambino su un possibile agito sessuale della madre nei suoi confronti erano totalmente sganciate dalla realtà, stroncando ogni possibilità di portare in giudizio i genitori, ha sottolineato Bauccio. Bolognini ha però evidenziato che non era suo interesse «l’esito giudiziario» e di aver scritto «la verità, ciò che ho osservato». Così come per C., la cui relazione finale non fa alcun riferimento ad ipotesi di abusi da parte dei genitori, e V.. Insomma, nessuno degli elementi che avrebbero costituito il nucleo della frode processuale.
In aula si è discusso anche dell’articolo che il pm aveva sottoposto a Bolognini in una precedente udienza. Articolo con il quale Salvi voleva dimostrare che è «inconcepibile in una pratica clinica etica e rispettosa» parlare di ricordi «rimossi». L’articolo - dal titolo “Esperienze traumatiche e ricordi: implicazioni in campo clinico e legale”, di Malacrea, Felis, Pagani e Fernandez -, in realtà smonta la teoria dei falsi ricordi, che fa da base all’impianto accusatorio, essendo i professionisti accusati di aver manipolato la mente dei minori, e nega che esistano prove scientifiche che la psicoterapia, compresa la tecnica Emdr, alteri o crei falsi ricordi. Bolognini ha dichiarato di riconoscersi nell’articolo in questione, che evidenzia come non ci possa essere un falso ricordo se è il bambino a portare quel contenuto in terapia. Inoltre dal testo si evince che lo psicoterapeuta ha il dovere di ascoltare il bambino e di non smentirlo, ma anzi seguirlo e accompagnarlo, in qualità di testimone clinico, e non giudiziale: la sua testimonianza non riguarda i fatti, ma riguarda ciò che può osservare nella sua psicoterapia.