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Un’arringa come atto di accusa contro l’accusa stessa. Un controprocesso al processo, che ha messo sotto esame la tenuta epistemologica delle consulenze che l’hanno incriminata. È stato questo il tenore della difesa pronunciata dall’avvocato Luca Bauccio per Nadia Bolognini, la psicoterapeuta accusata di aver manipolato minori, instillato falsi ricordi, interferito con le indagini nel processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza, il cosiddetto “caso Bibbiano”.
«Il vero delitto oggetto di questo processo - ha sottolineato Bauccio nella sua seconda giornata di discussione - è l’assassinio della verità, della decenza, del rispetto delle persone». Un duro atto d’accusa, soprattutto, contro le consulenti della pm Valentina Salvi, che secondo Bauccio non solo non avrebbero fatto alcuna diagnosi scientificamente valida - il che decreterebbe il crollo dei capi d’imputazione -, ma avrebbero addirittura prodotto dei «falsi».
«La banalità del male è questo - ha aggiunto Bauccio -. Le consulenti hanno fatto il loro dovere senza sensi di colpa, che non era quello di taroccare le prove, ci mancherebbe, ma di dimostrare la colpevolezza dell’imputata con l’impensabile».
Sostenendo, ad esempio, che il Neurotek - che inizialmente era stato indicato sulla stampa come macchinetta per l’elettroshock, risultata poi innocua - sia «uno strumento che ruba i pensieri» - copyright Elena Francia -, addirittura anticamera «di un disturbo psicotico». Nulla di tutto ciò: «Se questo aggeggio fosse davvero capace di far accedere alla memoria in modo diretto, produrrebbe risultati eccezionali. Faremmo la fortuna della casa produttrice», ha dichiarato il legale.
Che ha poi aggiunto: «Sul sito c’è scritto l’esatto contrario di quanto detto dalle tre consulenti. L’unica persona ad essere andata sul sito del produttore è l’imputata. La teoria che la Bolognini abbia mandato “scosse” a un bambino con il Neurotek è ridicola. Non è solo falsa, è offensiva».
Secondo Bauccio, questo processo potrebbe dunque «decretare la morte della scienza». «Se non abbiamo il realismo delle proporzioni - ha evidenziato -, se non riusciamo a trattare questa materia con scientificità, cadiamo nella superstizione, che è la piattaforma mondiale dove morte del sapere scientifico».
Buona parte delle contestazioni, infatti, sono un’accusa alla scuola di pensiero di Bolognini e alle modalità con cui la psicoterapeuta si approcciava ai minori, con domande, a dire della pm, suggerenti e suggestive, tali da instillare un falso ricordo. Una cosa, ha ribadito Bauccio, scientificamente impossibile.
«Se neghiamo la domanda, neghiamo la scienza - ha dichiarato l’avvocato citando il consulente della difesa Mauro Mariotti, medico di neuropsichiatria infantile e terapeuta -. Non si può diagnosticare un trauma senza ascoltare, senza test. Se io psicoterapeuta mi fermo davanti a un sintomo, se non lo elaboro, allora ho fallito».
E tutti gli studiosi citati durante il processo, perfino dall’accusa, sono unanimi sul fatto che la psicoterapia del trauma richiede strumenti clinici rigorosi, colloqui multipli, analisi strutturate. Cosa che le consulenti dell’accusa non hanno fatto.
«Chi sta sbagliando? - si è chiesto Bauccio - Tutta la letteratura scientifica o le consulenti della procura?». Uno dei cardini della difesa è stato il caso di N., il bambino che aveva raccontato a scuola di aver subito abusi dal fratellastro e che assumeva atteggiamenti sessualizzati e compulsivi con i compagni. Al minore erano stati diagnosticati disturbi contraddittori e incompatibili: «Ci si ritrova con una doppia diagnosi fatta dalla stessa dottoressa Elena Francia – disturbo della condotta e disturbo dell’adattamento – in contemporanea. È contro la scienza. Non possono coesistere - ha spiegato Bauccio -, lo dice il Dsm5. Se metti insieme due cose incompatibili, non stai facendo diagnosi: stai inventando una storia».
E se non fosse stata formulata questa diagnosi, ci saremmo trovati di fronte a un’imputazione per lesioni? Figura centrale per l’accusa l’affidataria di N., «diventata l’icona di questo processo. Seduta fuori da una stanza (dove si svolgevano le psicoterapie, ndr), coglie frasi a metà, urla che non comprende, rumori decontestualizzati. E diventa la chiave interpretativa di un’intera inchiesta».
Per l’accusa, Bolognini avrebbe manipolato la teste. Ma «dove sono le prove? Dopo sei anni, la pubblica accusa continua a cercarle». Con forza, Bauccio ha respinto l’idea che la terapeuta dovesse offrire al minore un ventaglio di spiegazioni, anche davanti a racconti di violenza: «Di fronte a un bambino che racconta di essere stato picchiato, io dovrei suggerirgli ipotesi alternative per spiegarne i lividi? Ma quali? E c’è un’ipotesi alternativa positiva a un gesto violento?», ha chiesto ai giudici. «Un bambino lo devi togliere da braccia manesche. Non puoi restare neutro. E se la Bolognini avesse taciuto - ha sottolineato -, oggi starebbe sul banco degli imputati per omissione».
Ancora più grave, secondo Bauccio, è il modo in cui sono stati descritti gli episodi di masturbazione tra N., il patrigno e il fratellastro, ovvero dei «giochi». Le conclusioni della consulente Francia sarebbero, per il legale, allineate alla teoria di Richard Gardner, l’inventore della sindrome di alienazione parentale, famoso (e per questo bandito dalla Columbia University) per la sua normalizzazione della pedofilia: «Le dichiarazioni della Francia rispetto alla masturbazione di L. con N. trovano conferma nella teoria di Gardner sulla pedofilia». E ha aggiunto con fermezza: «Lo Stato italiano condanna severamente la pedofilia».
Altro caso simbolo quello di M., ragazzina che a 13 anni aveva avuto rapporti con un parente di 27, in maniera consensuale, secondo la pm, cosa ignorata da Bolognini. «Nella sua requisitoria Salvi ha detto che “non era nemmeno detto che fosse lui il colpevole” - ha ricordato Bauccio -. Quanti dubbi abbiamo verso un pedofilo. La presunzione di innocenza che arriva a diventare certezza».
Bauccio ha inoltre ricordato «l’assurdità» dell’accusa mossa a Bolognini per aver domandato alla ragazza se i rapporti con un uomo adulto le avessero fatto del male: «Cosa dovrebbe fare una psicoterapeuta del trauma? - ha chiesto - Chiedere se era innamorata? Questa è la giustizia che idealizza il colpevole e mostrifica l’innocente».
Ma non solo. Bauccio ha accusato Francia di aver creato una nuova sindrome di alienazione parentale - già di per sé antiscientifica secondo la Cassazione, ndr -, «una Pas senza genitori. Ma il fondamento della sindrome da alienazione parentale è proprio il conflitto tra genitori. Qui, invece, il genitore è il Servizio sociale».
Per Francia, inoltre, l’allontanamento avrebbe provocato un disturbo post traumatico da stress, cosa negata dall’altra consulente, Rita Rossi. Altro caso quello di A. T., che secondo le consulenti avrebbe una invalidità psichica al 100%, una sorta di vegetale, a seguito dell’allontanamento. Per quel caso, però, è stata chiesta l’assoluzione. «Il bambino è guarito o è confermato che Rossi ha prodotto una diagnosi falsa? Senza queste diagnosi, questo processo non sarebbe mai esistito», ha sottolineato.
Bauccio ha demolito l’idea di una manipolazione psichica: «La creazione del falso ricordo, secondo la scienza, richiede ripetizione, accrescimento, pressione. Bolognini non l’ha mai fatto - ha sottolineato il legale -. Apriva sempre spiragli al dubbio. Questo non è manipolare, è curare».
E Bauccio ha difeso la professionalità della sua assistita anche nei confronti dell’accusa di aver creato un “metodo proprio”: «Ma quale metodo Bolognini? - ha sottolineato - È lei che si rifà ai mostri sacri della psicoterapia. Se vogliamo definirlo metodo, allora lo fanno anche Freud e Fornari. L’unico metodo in campo qui è quello scientifico».
«Abbiamo sollevato granelli di sabbia dal cumulo delle falsità. Ma il cumulo resta. Se sono le consulenti ad aver sbagliato – ha concluso – allora il processo finisce qui. Se le consulenze sono infondate, allora il processo non ha più ragione di essere».