È una delle immagini simbolo dell’inchiesta “Angeli e Demoni”: un adulto steso su una bambina, con le braccia dell’uomo che si allungano sulla piccola, mentre si trovano a letto. Un’immagine che ai giornali era stata consegnata modificata - le due figure in verticale, in piedi, senza letto - e che secondo la procura di Reggio Emilia e la perizia della grafologa Roberta Tadiello sarebbe stato modificato da una delle imputate, con l’aggiunta postuma di due mani poste in corrispondenza dell’area genitale della bambina. Quel disegno era stato brandito come esempio lampante delle gravi violazioni commesse da psicologi e assistenti sociali della Val d’Enza con lo scopo di allontanare i bambini da genitori innocenti e ingiustamente accusati di abusi sessuali ai loro danni, per alimentare, così, il business degli affidi.

Ma secondo Lorena Calvarese, la grafologa incaricata dalla difesa di Imelda Bonaretti - la psicologa accusata di averlo falsificato -, «il disegno è stato interamente realizzato da A.. La complessità dei tratti, le variazioni pressorie e la presenza di cancellature sono coerenti con le difficoltà motorie e la personalità grafica della minore». Quelle mani, dunque, non sarebbero un’aggiunta postuma, ma corrispondono allo stile grafico dell’autrice del disegno.

Calvarese lo ha dichiarato stamattina in aula, dove è stata sentita nel processo sui presunti affidi illeciti come teste della difesa Bonaretti, rappresentata dagli avvocati Franco Libori e Franco Mazza. Calvarese, nella perizia depositata stamattina, ha spiegato di aver adottato un approccio scientifico basato su metodi grafologici, per analizzare il dinamismo grafico e le modalità grafiche, evitando interpretazioni soggettive; tecniche grafoscopiche, con l’utilizzo di strumenti come una lente d’ingrandimento, elaborazioni digitali in “ipercroma” e “isotratto” e una fotocamera per identificare caratteristiche non visibili a occhio nudo.

Secondo la relazione della perita, la bambina «soffre di impaccio psicomotorio», che comporta difficoltà nell’ideazione e nella coordinazione motoria, tendenza a cancellature, esitazioni e tratti disomogenei, anche nella pressione. Una grafia influenzata dall’ansia e dal vissuto emotivo, aspetti ritenuti centrali nell’analisi e che hanno permesso di comprendere, considerati nel complesso, «l’unicità del tratto grafico della minore».

Calvarese ha infatti analizzato vari disegni, trovando caratteristiche che permettono di ricondurre anche quel tratto grafico alla mano della bambina. Tanto da arrivare a dire che anche le mani e i tratti cancellati nel disegno incriminato sono stati attribuiti con certezza alla stessa mano della minore.

Nella sua relazione, Calvarese ha confutato le affermazioni di Tadiello, ascoltata solo come testimone nel processo, avendo effettuato la sua consulenza in un procedimento separato, ovvero quello a carico dell’ex compagno della madre di A., accusato di aver abusato della bambina e poi archiviato. Sono state proprio le tecniche utilizzate da Calvarese, basate su innovazioni recenti e programmi moderni, a consentire di affermare «con scientificità e oggettività che non ci sono alterazioni nel disegno», ha commentato l’avvocato Libori. E Tadiello, probabilmente, non è arrivata alle stesse conclusioni proprio per non aver utilizzato questi sistemi, che vanno oltre i vecchi protocolli richiamati dal pubblico ministero Valentina Salvi nel suo controesame.

Secondo la pm, infatti, le nuove tecniche utilizzate dalla grafologa non sarebbero considerate nei protocolli attualmente applicati. Ma trattandosi di tecniche di ultima generazione - ha sottolineato Calvarese -, sono assolutamente valide e riconosciute scientificamente come più adeguate e ripetibili. Il tribunale, dopo una breve camera di consiglio, ha deciso che non è necessario sentire un consulente per questa questione e ha ritenuto valida la consulenza di parte della difesa.

Durante l’udienza di oggi la Corte ha risposto con un’ordinanza alle eccezioni relative all’inutilizzabilità delle intercettazioni, dichiarandole in parte utilizzabili, in parte corpo di reato ed in parte inutilizzabili. Il tema centrale riguarda la possibilità di usare le intercettazioni disposte per reati diversi da quelli per cui se ne chiede ora l’utilizzo. I presupposti per l’ammissibilità sono due: il reato che risulterebbe dimostrato dalla intercettazione deve rientrare nei limiti previsti dall’articolo 266 del codice di procedura penale o rientrare nelle categorie specifiche dei reati per cui l’intercettazione è ammessa, e la connessione tra il reato oggetto delle intercettazioni e i reati per cui si chiede ora l’utilizzo deve essere forte, ossia che i reati siano in continuazione o in concorso tra loro. Il tribunale, presieduto da Sarah Iusto, ha valutato il tutto dalla posizione in cui si trovava il gip al momento in cui ha disposto le intercettazioni e, dunque, ignorando gli esiti dell’istruttoria. Stabilendo l’ammissibilità per i reati che superano i limiti dell’articolo 266 cpp, mentre la situazione varia per i reati al di sotto di questi limiti, come la violenza privata, il peculato d’uso e la frode processuale, per i quali è stata prima fatta una verifica sulla possibilità che le stesse intercettazioni costituiscano corpo di reato.

Ricade in questa casistica un’accusa di rivelazione di segreto, che si riferisce a un capo di imputazione legato a una telefonata. Lo stesso per quanto riguarda l’accusa di frode processuale legata a sedute di psicoterapia, utilizzabili per alcuni capi di imputazione, ma non per altri, così come il famoso audio delle affidatarie in auto. Inoltre, non sono utilizzabili per quanto riguarda la presunta violenza privata legata all’uso del Neurotek, poiché il presunto reato è sotto la soglia prevista. Per lo stesso motivo, le intercettazioni non saranno utilizzabili neanche per il peculato d’uso legato all’utilizzo di un’auto da parte dell’assistente sociale Francesco Monopoli.