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Le giudici del processo "Angeli e Demoni"
La diagnosi implica il contatto con il paziente, con più incontri clinici, la somministrazione di test, domande e l’esame del quoziente intellettivo. Ma nulla di tutto questo è stato fatto dalle consulenti della procura di Reggio Emilia, incaricate di valutare il lavoro delle psicologhe imputate nel processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza, motivo per cui le loro conclusioni sono soltanto ipotesi, non confermate dal metodo scientifico. A dirlo, questa mattina in aula, è stato Mauro Mariotti, medico di neuropsichiatria infantile e terapeuta, consulente della difesa della psicoterapeuta Nadia Bolognini, rappresentata dagli avvocati Luca Bauccio e Francesca Guazzi. Il lavoro delle consulenti, ha sottolineato Mariotti, avrebbe seguito il metodo verificazionista, andando a caccia soltanto di conferme della tesi d’accusa e tralasciando, invece, tutti quei dati che falsificavano l’ipotesi accusatoria. Il tutto senza vedere le sedute: è importante, invece, secondo Mariotti, contestualizzare gli incontri e tenere conto di tutte le attività della seduta, che al 70% è non verbale. Mariotti ha dichiarato di aver accettato l’incarico non in difesa di qualcuno ma per difendere il metodo scientifico e una psicoterapia del trauma che è stata etichettata come manipolatoria e suggestiva. Mentre invece è «lo strumento più potente per aiutare le persone a ricollegarsi con quanto si è vissuto». Un lavoro che prescinde dall’esistenza o meno di un reato o dalla veridicità del fatto: «Ciò che conta - ha evidenziato - è che il paziente si ricongiunga con se stesso». Il trauma è infatti «una ferita» e la psicoterapia «è cura, perché l’obiettivo è il benessere del paziente», smentendo dunque l’assunto della consulente Melania Scali secondo cui «il trauma può essere curato solo quanto il fatto venga accertato giudiziariamente». Nessuno, in ogni caso, ha mai chiesto a Bolognini di interrompere la terapia per motivi legati all’accertamento giudiziario.
Il trauma, ha spiegato Mariotti, funziona in modo particolare: il cervello è diviso in corteccia, mesencefalo e bulbo. Di fronte a un trauma, a prendere il controllo è il cervello antico, che “blocca” la comunicazione tra corpo e corteccia. I sintomi internalizzati rimangono dunque nel corpo e vanno recuperati con la teoria del trauma. Il che significa andare a cercare i ricordi, con domande dirette che possono essere scambiate per suggestive. Che non sono manipolatorie, come invece lo sono quelle induttive. Il consulente ha escluso l’esistenza della sindrome del falso ricordo, benché possano esistere falsi ricordi. «Non è possibile creare falsi ricordi su qualcosa di complesso mai esperito», ha sottolineato Mariotti. Che poi ha criticato il lavoro delle consulenti della procura. «L’esame delle carte può solo dare elementi preliminari - ha sottolineato -, ma occorre la conoscenza personale, altrimenti manca un esame clinico obiettivo». Il che renderebbe parziale il lavoro delle esperte incaricate dalla procura. Secondo una di esse, Elena Francia, la psicoterapia sarebbe addirittura una possibile causa di disturbo di personalità. Ma «anche in una dimensione di estrema volontarietà di nuocere - ha replicato Mariotti - è un’osservazione che, dal punto di vista dell’analisi scientifica, difetta di una serie di elementi. Direi che si tratta piuttosto di una considerazione personale. Una psicoterapia non può assolutamente nuocere se il soggetto non ha avuto traumi significativi nei primi anni di vita». Altra tesi di Francia è che i test possano nuocere ai minori, circostanza smentita da Mariotti. Ma non solo: secondo la stessa consulente della pm, Bolognini avrebbe rivestito nei confronti del minore il ruolo del genitore malevolo, provocando alienazione parentale. «La Pas, come sindrome, è stata disconfermata - ha sottolineato -. Non è che non esista l’alienazione genitoriale, ma quella fatta da Francia è un’ipotesi non fondata, un’ipotesi decisamente personale ed è molto discutibile la sua veridicità». Altro elemento analizzato è quello del “funerale” nella psicoanalisi, tecnica utilizzata da Bolognini nelle sedute incriminate, ma molto utile, secondo Mariotti e secondo la letteratura scientifica. «Ha a che fare con l’elaborazione del lutto - ha spiegato -. Rappresenta un momento di liberazione da una proiezione negativa di qualcuno o di qualcosa. Quindi quello che fa la Bolognini è perfettamente in linea con quello che si fa nella pratica psicoterapeutica». Pratica che non deve mettere in dubbio i racconti di un bambino: «Compito dello psicoterapeuta non è indagare, ma trattare i dati portati in terapia». Nella terapia, ha poi aggiunto, il gioco è un momento importantissimo, in quanto «permette di rappresentare gli aspetti emotivi che altrimenti sarebbe impossibile far emergere. Bolognini ha applicato magistralmente le tecniche terapeutiche». Per quanto riguarda il Neurotek, la fantomatica “macchinetta dei ricordi”, «non può fare alcun danno - ha evidenziato - per una serie di motivi scientificamente provati. Aiuta molto a decentrare l’attenzione e non può assolutamente essere anticamera del disturbo psicotico», come sostenuto da Francia. «La psicosi è una cosa seria - ha aggiunto -, implica allucinazioni, stati emotivi dolorosi, cose che non si possono ricollegare all’uso del Neurotek. Che è una banalissima tecnica di stimolazione bilaterale usata in tutto il mondo come pratica di rilassamento e di tranquillizzazione». Mariotti ha infine smentito che l’allontanamento del minore sia peggiore della permanenza di un minore in un contesto di violenza, come teorizzato ancora una volta da Francia: «Un minore abusato vive molte conseguenze negative e molto dannose, con esiti come dipendenza, suicidio, e identificazione nell’aggressore».