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I capi d’imputazione stilati dalla procura di Reggio Emilia nei confronti della psicoterapeuta Nadia Bolognini sono smentiti dalla semplice trascrizione delle sedute. È quanto evidenziato dall’avvocato Luca Bauccio nel lungo esame della professionista, imputata a Reggio Emilia nel processo sui presunti affidi illeciti con l’accusa di falsa perizia determinata da inganno, di violenza privata e di lesioni. Durante il suo esame - che si concluderà domani - il legale (che la difende insieme a Francesca Guazzi) ha analizzato i casi seguiti dalla professionista, come quello della piccola C.. Secondo la pm Valentina Salvi, la psicoterapeuta avrebbe manipolato la bambina affinché non desiderasse di tornare a casa. La lettura della seduta di psicoterapia racconta però una versione totalmente diversa: Bolognini, infatti, aveva espresso felicità per la riconciliazione della bambina con i genitori, invitando la piccola a fare un brindisi simbolico. La psicoterapeuta le aveva inoltre suggerito di appuntare su un quaderno i sentimenti d’affetto che C. dichiarava di nutrire nei confronti dei genitori. Dopo un’iniziale resistenza, Bolognini convinse la bambina a mettere per iscritto il suo amore. «È una cosa bellissima, devi sempre ascoltare il tuo cuore, brava», questo in sintesi il pensiero poi espresso dalla psicoterapeuta. Una circostanza documentata, che smentisce anche in questo caso totalmente il capo d’imputazione. Ma non solo. Gli affidatari della bambina avevano riferito alla consulente dell’accusa, Elena Francia, che la bambina era nettamente migliorata dopo la psicoterapia con Bolognini, sia nell’umore - «era divenuta solare» - che nelle relazioni sociali, affermazioni lette in aula da Bauccio, ma mai riportate da Francia nella propria relazione.
Secondo un altro capo d’imputazione, Bolognini avrebbe detto falsamente ad uno dei piccoli pazienti, A., che il padre era in prigione. Ma anche questa versione è smentita dalle registrazioni delle sedute: era stata la madre del bambino ad informare la psicoterapeuta - e il bambino lì presente, fino a quel momento all’oscuro del fatto - della condizione detentiva del padre. L’accusa ha contestato questa ricostruzione, dimostrata, però, dalle prove documentali: sia l’esame del maresciallo Giuseppe Milano in aula sia il capo d’imputazione, infatti, attribuiscono a Bolognini l’aver mentito al bambino sul punto. Inoltre, Milano ha dichiarato che in una seduta il bambino avrebbe insultato Bolognini dandole della pazza e rifiutandosi di discutere con lei. La seduta, però, è risultata una delle più tranquille e serene: nella sua versione integrale i due ridono e scherzano e quando Bolognini lo invita a spegnere il telefonino il bambino replica “ma io non ce l’ho, sei matta”, il tutto tra le risate, in un clima giocoso.
Durante l’udienza si è anche discusso del Neurotek, la presunta macchinetta dei ricordi definita dalla consulente Francia «uno strumento che ruba i pensieri», addirittura anticamera «di un disturbo psicotico». Una macchinetta che, secondo l’impostazione accusatoria, trasmetterebbe impulsi, ma che in realtà è capace di produrre solo flebili vibrazioni, come già ricostruito in aula da Michele Vitiello, consulente informatico e forense e perito dell’accusa. Quelle vibrazioni non possono produrre alcun danno. L’unico possibile rischio risiederebbe nella diversa modalità di alimentazione tra Italia e Usa. Ma per usare tale macchinetta non serve necessariamente un’alimentazione: funziona anche con una comune batteria da 9 volt, “legale” anche in Italia. E non solo: già dal 2011 - quindi otto anni prima dell’inchiesta - sul sito erano reperibili le certificazioni di conformità alle direttive europee sul basso voltaggio e sulla compatibilità elettromagnetica.
Smentiti anche i presunti travestimenti da lupo - in realtà mai verificatisi - e la presunta truffa: mentre, secondo l’accusa, Bolognini avrebbe fatto sedute più brevi del previsto, dalle stesse trascrizioni è emerso che le sedute potevano essere più lunghe anche di 20 minuti e nei casi in cui il bambino arrivava in ritardo quei minuti persi venivano recuperati in un altro momento. Solo in un caso la psicoterapeuta ha chiuso prima una giornata di lavoro, ma solo con 20 secondi d’anticipo, rimanendo in studio, negli altri casi, anche un’ora e mezza in più per via dei ritardi accumulati dai piccoli pazienti. Il suo bilancio era, dunque, in negativo. Le sedute erano un continuum: non c’era nessuna interruzione tra un paziente e l’altro. «Nelle 61 sedute effettuate (quelle accusate di truffa, ndr) non c’è stata una sola volta in cui io sia uscita prima», ha sottolineato Bolognini, versione confortata dalle trascrizioni E nei casi in cui la seduta durava di più non veniva pagato un prezzo extra.
Tra gli episodi analizzati quello della seduta in cui N. aveva raccontato di aver toccato la madre nelle zone intime. Un racconto al quale Bolognini non aveva dato però credito, scrivendo nella propria relazione che N. non era in grado di svolgere una narrazione. La psicoterapeuta era però obbligata ad appuntare fedelmente il racconto del bambino, pur ritenendolo - come poi scritto - inadeguato a fondare un’accusa. «Se un bambino ha queste ferite - questo il concetto espresso da Bolognini - è chiaro che non sta bene, che qualcosa è successo. Ma ciò non significa che sia successa proprio quella cosa».