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Quest’anno si festeggia per Eugène Ionesco un doppio anniversario: la nascita ( il 26 novembre del 1909); la morte ( il 28 marzo del 1994). Di origini franco- rumene, il grande autore teatrale è famoso non solo per le sue opere, ma per quel teatro dell’assurdo da lui inventato che è diventato un modo di dire, l’emblema di una realtà sottosopra, un paradosso, una provocazione. Ionesco racconta di aver avuto la prima ispirazione traducendo un libriccino dal francese all’inglese. Era la storia della famiglia Smith, di una famiglia normale, del cielo che è sopra e dell’inferno che è sotto. Quella normalità ridotta a un linguaggio piano appariva nella sua totale assurdità, assurdo perché assurda è la vita. Ionesco, anche quando osservava la storia e la politica, aveva in testa l’essere umano, la sua condizione. Ed è in quella condizione che lui ravvisava l’assurdo che poi lui seppe trasformare in linguaggio. All’inizio soprattutto era difficile da divulgare.
Non tutti capivano, né a destra né a sinistra, e Ionesco dovette fare numerose conferenze e scrivere numerosi libri per spiegare perché il suo linguaggio e la sua arte fossero così apparentemente strani, fuori dalla norma. Negli stessi anni, Samuel Beckett “aspettava Godot” e intraprendeva, pur con sostanziali differenze, la stessa strada di un linguaggio scollato, di una realtà sempre più incomprensibile. Nell’uno e nell’altro l’orrore delle due guerre mondiali aveva prodotto un’implosione e lasciato tracce indelebili. Ma è sbagliato ridurre la loro invenzione solo a un effetto negativo della storia. Ionesco e Beckett inventavano, creavano, usavano il teatro e la lingua senza timori di asservire la norma.
DALLA SCENA ALLA TV
La forza di Ionesco e di Beckett era quella di ribaltare il luogo comune. L’assurdo, che secondo Ionesco gli esseri umani sperimentano nella loro vita, era pur sempre qualcosa di straordinario, di strano, di preoccupante. Oggi i termini si sono ribaltati: la realtà è assurda, l’assurdo è diventato un’oasi di razionalità e di normalità. Tutto si ribalta, tutto si capovolge. Dalla politica alla cronaca l’assurdo è diventato la norma. Il paradosso ci governa. Se oggi Ionesco dovesse mettere in scena la sua prima opera La cantatrice calva, il pubblico penserebbe si tratti di una soap opera, perché qualsiasi evento che ci circonda e ci riguarda appare molto più strano, incomprensibile, se ci si ostina ad usare la ragione. La politica in particolare è diventata il palcoscenico dell’irrazionalità e del no sense: dici una cosa e ne fai un’altra; pensi una cosa e ne sostieni un’altra; e anche quando dici e fai la stessa cosa il filo della ragione è difficile da ravvisare. La politica spettacolo, ancora prima che una politica che si costruisce in termini mediatici, è esattamente una politica che rinuncia alla razionalità per diventare puro sentimento. Ma quel sentimento messo in scena appare stralunato, pazzo, senza senso e senza senno.
CI ABITUA A TUTTO
La televisione è stata una fabbrica di linguaggio dell’assurdo. Sono pochi i programmi che non sembrano una creazione di Ionesco: messe in scena uscite fuori dalla fervida mente di un folle. Il rapporto causa- effetto salta, salta il valore della logica. Ma se per il drammaturgo l’intento era l’opposto, denunciare la condizione umana e condannare le storture della vita politica - ebbe in odio le dittature - oggi il linguaggio dell’assurdo ottiene il risultato opposto: normalizzare ciò che non è normale, far accettare quello che non si dovrebbe mai accettare come l’odio, il razzismo, il sessismo, la limitazione della libertà. Ripensare a Ionesco è una spina nel fianco, è un modo per confrontare passato e presente e capire che l’assurdo è tra di noi. Un po’ come la sua pièce Rhinocéros, in cui il protagonista Bérenger si oppone ai rinoceronti, simbolo delle dittature, ma alla fine si adatta anche lui al loro dominio.
IONESCO RADICALE
Non stupisce che nel 1992, dopo un appello di Marco Pannella, Ionesco si iscrisse al Partito Radicale Transnazionale. Era un uomo libero, che si batteva per un mondo più giusto, ma lo faceva senza appartenere a una “chiesa” in particolare. La loro battaglia per la conoscenza e contro l’assurdità del carcere oggi molto probabilmente sarebbe anche la sua. Ma chissà se davanti alla realtà attuale riuscirebbe ancora a comporre le sue opere, sconsolato dal fatto che niente sarebbe più assurdo di ciò che ci circonda.