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«Ci sono due grandi questioni da chiarire e da approfondire. Da una parte il rischio di indebolire il rito accusatorio che l’Italia, abbandonando l’era del giudice “inquisitore”, scelse 30 anni fa con la riforma Vassalli. Fu una grande conquista e noi, oggi, non possiamo tornare indietro. Dall’altra, dobbiamo interrogarci sull’efficacia delle modifiche nel ridurre la durata dei giudizi, che deve essere ragionevole: se non ne fossimo convinti, non si può escludere a priori un ragionamento a 360 gradi su strumenti e norme adeguati che la possano garantire».
A parlare non è un opinionista qualsiasi ma il relatore della riforma penale nella commissione Giustizia di Montecitorio: Franco Vazio. Che è deputato del Pd, cioè di quel pilastro dell’attuale maggioranza non certo ispiratore del blocca- prescrizione. A breve si passerà alla fase degli emendamenti. E da Vazio vengono inviti alla riflessione, non certo ultimatum politici. Ma nell’analisi proposta dal parlamentare, che della commissione Giustizia è anche vicepresidente, ricompare per la prima volta dopo mesi un tema che sembrava ormai cristallizzato e impronunciabile manco fosse un tabù: la prescrizione, appunto.
Gli auditi, professori e avvocati, hanno evidenziato che alcune norme della riforma mortificano il diritto di difesa.
Il rischio va evitato. Non ha senso, per usare una metafora calcistica, fare gol allargando improvvisamente la porta. Un conto è modificare aspetti sostanziali, non esclusa l’entità della pena: nel tempo la percezione del disvalore sociale si modifica e ha senso che ne possa conseguire anche un diverso quadro sanzionatorio. Ma le regole del processo penale costituiscono il perimetro del campo di gioco, che sarebbe auspicabile cambiare il meno possibile.
Solo che il ddl penale interviene proprio sulle regole, e non nella direzione invocata dall’avvocatura.
Premessa: personalmente non sono affatto contrario alle innovazioni. Soprattutto se riguardano la modernità degli strumenti, l’introduzione di nuove tecnologie. La parte che riguarda la digitalizzazione delle attività di notifica, ad esempio, mi sembra preziosa. Andranno meglio definiti i limiti di responsabilità del difensore, ma credo che il penale telematico si rivelerà una svolta positiva come avvenne per il civile, rispetto al quale pure mi confrontai con le titubanze degli operatori della giustizia. Oggi nessuno tornerebbe indietro. I nodi da sciogliere sono altri.
Ad esempio?
Non si può snaturare il modello accusatorio. Né introdurre strumenti che ne tradiscano i principi. A partire dalle sollecitazioni di molti auditi, credo si debba intervenire con un’attenta attività emendativa. La formazione della prova di fronte al giudice, allo stesso giudice, la parità di accusa e difesa, la garanzia del controllo collegiale in appello costituiscono la spina dorsale di quel rito. Il ddl propone ad esempio la trasformazione dei collegi di Appello in giudici monocratici, e nuove udienze filtro per il giudizio monocratico in primo grado. Soluzioni per le quali ho profonde riserve. Molti autorevoli auditi, magistrati di grande esperienza, le hanno ritenute non efficaci, addirittura controproducenti, rispetto all’auspicata riduzione dei tempi.
In cosa consisterebbe l’udienza filtro?
Riguarda i giudizi a citazione diretta. Prima del giudizio propriamente detto, ci si dovrebbe presentare dinanzi a un giudice, necessariamente diverso da quello che eventualmente pronuncerebbe la sentenza, che dovrebbe valutare se sussistano le condizioni per dichiarare il non luogo a procedere. Tutto sulla base del solo fascicolo del pm. Di fatto, se la prognosi che ne deriva apparisse favorevole all’accusa, il vero esito consisterebbe in una pressione sull’imputato, che sarebbe fortemente indotto al patteggiamento, senza condizioni di parità nella formazione della prova.
Di fatto un ritorno all’inquisitorio.
Con problemi pratici che accentuano le perplessità della stessa magistratura. Visto che l’udienza filtro deve avere un giudice diverso, sarà difficile, nei piccoli Tribunali, individuare i magistrati a cui assegnare i diversi passaggi del procedimento. Si rischia insomma di ingolfare ancora di più la macchina.
Sarebbe paradossale: l’obiettivo dichiarato dalla maggioranza è ridurre i tempi per rendere irrilevante il blocco della prescrizione.
Noi dobbiamo valutare l’insieme delle nuove regole previste nella riforma, e dovremo chiederci se tutto ciò possa autorizzare ad affermare che il processo sarà certamente breve e giusto, e quindi che l’istituto della prescrizione possa trovare nella nuova e ultima regolazione un adeguato baluardo a difesa del precetto costituzionale della ragionevole durata.
E secondo lei il baluardo è adeguato?
Da una parte credo che ormai tutti vedano come il blocco della prescrizione dopo il primo grado solo in caso di condanna rappresenti una formulazione migliore di quella introdotta con la spazzacorrotti. Dall’altra parte, una durata del processo giusta non può venire da mutilazioni del diritto di difesa.
Come avverrebbe ad esempio con le ricordate udienze filtro.
È un tema, non il solo. La riduzione dei tempi non può essere affidata solo alle sanzioni disciplinari per giudici e pm che non rispettassero la durata predeterminata per ciascuna fase. In altre parole, il Pd ha accolto la riscrittura della norma sulla prescrizione sulla base di un presupposto: la riduzione dei tempi del giudizio. Ora dobbiamo valutare se le modifiche apportate possono davvero garantire quella riduzione. Se dovessimo realisticamente convenire che non potrà essere così, serviranno altri interventi.
Nei casi di durata eccessiva, Canzio ha riproposto sconti di pena e, in extrema ratio, l’improcedibilità.
Gli sconti di pena all’imputato rappresentano una soluzione. Ma non pongono rimedio agli sforamenti più significativi. Quando si verificano, chi rende davvero giustizia all’imputato sottoposto al processo per vari lustri o anche alla parte offesa? Se un risarcimento arriva dopo 20- 30 anni, possiamo affermare che lo Stato è giusto e pronto a difendere i propri cittadini? Perciò il ragionamento non può escludere nei casi più gravi soluzioni differenti.
Gli avvocati attendono risposte anche sulla norma che impone all’imputato di dare specifico mandato al difensore per l’impugnazione in appello.
È stata concepita sempre con l’obiettivo di deflazionare il carico sul secondo grado. Dobbiamo però chiederci se davvero ci sia un significativo numero di difensori che impugnano oltre la volontà dell’assistito. Cosa che mi pare improbabile. Potrebbe rivelarsi una soluzione punitiva, per certi versi analoga alle sanzioni per i magistrati. E ripeto: non è con l’effimera leva disciplinare che si riducono i tempi. Siamo chiamati a un’analisi seria e attenta. Se si rivelerà necessario emendare il testo della riforma, sarà giusto farlo.