PHOTO
Dopo la lunga attesa dei risultati dell’Iowa a causa del malfunzionamento della nuova app elettorale del Partito Democratico, Pete Buttigieg, il candidato dal nome impronunciabile per gli stessi americani, si sta confermando in testa nel primo Stato che ha condotto le primarie.
Di un’incollatura su Bernie Sanders ( a scrutinio avanzato ma non concluso ha il 26,8 per cento contro il 25,2), ma questo non cambia l’impatto che il risultato può avere sulla sua corsa e sulla sua carriera, che da ieri appare lanciatissima.
L’Iowa tra l’altro è noto per aver lanciato e stroncato le aspirazioni di molti, e se Joe Biden, fermo al 15%, teme la seconda ipotesi, Pete Buttigieg ( con le g dolci) si accredita per la prima; 38 anni, ex sindaco nell'Indiana, primo candidato presidenziale della storia a dichiararsi apertamente gay, Buttigieg è molto giovane e non ha grande esperienza nella vita politica d’oltreoceano, ma quella che gli viene rivolta come critica da molte parti lui prova a trasformarla in punto di forza.
«Abbiamo iniziato la nostra campagna un anno fa in quattro, senza soldi e senza aver neanche registrato il nome, solo con una grande idea», ha dichiarato dopo essere arrivato già nel New Hamshire, dove si voterà la prossima settimana per la seconda tornata delle primarie dem.
Poi senza troppo clamore si è fatto largo tra l’infinità di candidati democratici attraverso i vari dibattiti, e si è accreditato del 7 per cento a livello nazionale, cifra destinata a lievitare dopo la vittoria nel simbolico Iowa. La sua candidatura sembra comunque debole in molti Stati fuori dal Midwest, ma conta proprio sull’effetto Iowa per guadagnare terreno. E conta sul fatto di essere un moderato, area in questo momento mal rappresentata nei dem, considerando che Biden è in piena crisi mentre il miliardario Bloomberg aspetta per decidere se scendere in campo.
Buttigieg è figlio di un immigrato di origine maltese che è stato traduttore di Antonio Gramsci, parla sette lingue tra cui l’italiano, e ha scritto un libro su come i Democratici devono superare il trauma della sconfitta del 2016 contro Trump.
Veterano della guerra in Afghanistan è al contempo molto religioso anche se difensore della laicità. E l’elemento generazionale per lui è qualcosa da rivendicare: «Faccio parte della generazione cresciuta con le sparatorie nelle scuole, che ha dato al Paese la maggior parte dei militari impiegati in guerra dopo l’ 11 settembre, che sarà la prima a guadagnare meno dei genitori, quella che dovrà affrontare le conseguenze concrete del climate change».
I temi ambientali infatti sono il suo piatto forte, ma è anche un politico diretto, che non ha paura del dialogo con gli avversari, ed è anche stato il primo tra i candidati democratici a farsi intervistare dalla rivale Fox News, storica emittente della destra repubblicana, apertamente schierata con il tycoon.
Sposato con un insegnante, ha via via raccolto il consenso anche tra i potenti milionari dell’élite dem, compresa la Silicon Valley e il famigerato George Soros, l’uomo più odiato dai populisti e dau nazionalisti di mezzo mondo.
Non ha tuttavia un grande supporto nella comunità afro- americana e finora non gode nemmeno dell’appoggio del gotha democratico, degli apparati del partito, ma lui non si spaventa, convinto di poter dire la sua fino alla fine della corsa: «Il partito democratico – ha affermato - non ha vinto quando ha scelto un candidato del passato, un personaggio inevitabile. Ha vinto con Kennedy e Carter, con Bill Clinton e Barack Obama, abbracciando la novità, guardando al futuro».